di Maria Rusolo
“Caro direttore,
non posso scrivere l’articolo che mi hai chiesto. Per scrivere un articolo bisogna esser lucidi, bisogna pensare, e io non riesco a pensare stamani. Non riesco a essere lucida: sono troppo felice. Sono troppo sconvolta dalla gioia che mi travolto ieri sera quando sono scesa dal treno che mi aveva portato a Roma proprio nelle ore in cui si scrutinavano i voti, e sul treno non c’era modo di sapere non si fermava in nessuna stazione.
Dio che viaggio lungo, angoscioso, crudele. Ma poi il treno è giunto in stazione, e sono scesa, e ho saputo. E la gioia è stata così grande che mi son messa a piangere. Lì sotto la pensilina, davanti a tutti. Erano trent’anni che non piangevo di gioia. Era dal 1944, dal giorno in cui seppi che mio padre, arrestato e torturato dai fascisti della banda Carità, non era stato fucilato e forse non sarebbe stato fucilato. Devi capirmi se me ne sto qui stordita come quel giorno, a ripetermi che mio padre… voglio dire, che la libertà non è stata fucilata in Italia. Devo capirmi se me ne sto qui con le lacrime che mi riaffiorano agli occhi a dirmi che non siamo stupidi come credevo, non siamo ignoranti come credevo, non siamo immaturi come credevo, al momento opportuno siamo addirittura capaci di rispondere no e fare, dopo quattrocent’anni, la nostra Riforma.”
Così raccontava la vittoria al referendum sul divorzio una Oriana Fallaci in splendida forma, quando si dice di donne che hanno sempre combattuto per il riconoscimento della libertà individuale e per la emancipazione femminile, in questo disgraziato Paese, io non posso che pensare a lei, a lei che sin dalla più tenera età portava i messaggi dei partigiani in bicicletta sfidando le ronde fasciste, in una Italia sotto il giogo del Regime.
Ha cinquant’anni la legge sul divorzio, cinquant’anni di battaglie per la normalizzazione sociale di questo Paese, cinquant’anni di piccoli passi, perché non è una legge che può cambiare le dinamiche culturali di una comunità, ma che sicuramente può dare una spinta fortissima alla crescita individuale dei cittadini. Una legge che rivendica la libertà degli individui anche all’interno del nucleo famigliare, che mette al primo posto la volontà di scegliersi e di continuare a vivere anche al cospetto di una unione non felice, o di una unione oppressiva ed autoritaria.
La legge recepisce un cambiamento che è in atti, le donne cercano di realizzarsi nel mondo del lavoro, cominciano a rivendicare un ruolo che non è solo quello di madre e moglie. Qualcuno potrà obiettare che non si trattava e non si tratta di una legge solo per le donne, ed io posso essere parzialmente d’accordo. Quella legge ha spinto però le donne prima degli uomini, perché erano quelle che più degli uomini hanno subito e subiscono le scelte altrui e che finalmente, seppure nel disprezzo generale possono respirare ed essere libere.
Certo tra il dire ed il fare c’è spesso di mezzo un mare in tempesta, e ci sono forse voluti davvero cinquant’anni perché tutto cominciasse ad assumere una parvenza di normalità. Molto è stato fatto e molto resta da fare. Bisogna migliorare l’approccio alla crisi famigliare, e bisogna disciplinare in maniera più adeguata i rappor
ti patrimoniali e di forza tra i coniugi per evitare che questi finiscano per danneggiare anche la prole. Bisogna costruire i Tribunali della famiglia, con personale adeguatamente formato, bisogna che gli avvocati che si approcciano ad una crisi di coppia abbiano le giuste competenze e soprattutto bisogna creare strumenti di sostegno alla bigenitorialità anche quando le porte delle aule di giustizia si chiudono.
Ma il punto centrale di una rivoluzione incompiuta è che alle donne vada riconosciuta la possibilità di conciliare famiglia ed ambizioni personali e di non dover subire alcuna umiliazione per l’assenza di reddito. Tutto si gioca sempre sulla parità dei ruoli, e quando questa parità sarà finalmente conseguita non ci saranno drammi, e vittime, ma soggetti alla pari che non hanno bisogno di esprimersi secondo dinamiche tossiche o di esercizio becero del potere. Non possiamo dimenticare che i delitti si compiono nelle famiglie e che spesso le donne subiscono per paura, ma anche per mancanza di reddito, e la casa familiare finisce per diventare un lager dove si sa che si deve prima o poi morire per mano di un aguzzino. Ed allora in questo sgangherato Paese, moralista e misogino, troppo impegnato a discutere di parenti prossimi al cenone di Natale è arrivato il momento di compiere una battaglia seria in nome della libertà di scelta e di una sana vita di relazione, per non gettare alle ortiche i principi che uomini e donne delle istituzioni ci hanno lasciato. Hanno aperto una strada ora tocca a noi completarla.
“Per quanto siano forti i sentimenti che uniscono un uomo e una donna – in ogni tempo, ma soprattutto direi, nel mondo di oggi – essi possono anche mutare; e quando non esistono più i sentimenti, non esiste neppure più il fondamento morale su cui si basa la vita familiare. Abbiamo dunque bisogno di ammettere la possibilità della separazione e dello scioglimento del matrimonio.”