di Christian Sanna
“Le gambe s’allacciano, gli sguardi si fondono, i corpi si amalgamano in un firulete e si lasciano incantare. Dando l’impressione che il tango sia un grande abbraccio magico dal quale è difficile liberarsi. Perché in esso c’è qualcosa di provocante, qualcosa di sensuale e, allo stesso tempo, di tremendamente emotivo”. Con queste parole il grande scrittore Jorge Louis Borges provò a spiegare il Tango argentino che il musicista e regista Enrique Santos Discépolo definì “pensiero triste che si balla”.
Un ballo caratterizzato da passione ed eleganza dove ogni passo allude a quello normale di una camminata; l’uomo conduce e la donna lo segue, l’uno di fronte all’altra, eternizzati in un abbraccio che rappresenta la figura di una confidenza, di una complicità, di un’intesa palpabili. Sublimati dal ritmo incalzante della musica. Intesa e complicità le ritroviamo nell’opera “Il Bacio” di Tamara de Lempicka: un bacio elegante. Una coppia ben vestita si abbandona ad un bacio romantico d’altri tempi. La sensazione è che i protagonisti si siano messi in posa davanti alla pittrice; è comunque evidente la complicità fra l’uomo e la donna intenti a scambiarsi il più intimo dei gesti. “ Come possiamo tenere nascosta la nostra intesa” cantavano nel 2008 Franco Battiato e Carmen Consoli “ed è in certi sguardi che si nasconde l’infinito”, perché gira e rigira alla fine non c’è niente da fare: Tutto l’universo obbedisce all’amore.
Era il 1967 quando l’indimenticato chansonnier di origine armena Charles Aznavour cantava la sua disperazione per quella complicità di sguardi fra lei e l’altro “ Ed io, tra di voi, se non parlo mai / osservo la vostra intesa / Ed io, tra di voi nascondo così l’angoscia che sento in me”. Potente la complicità, a tal punto che la protagonista risulta innervosita per la presenza del compagno vista come un ostacolo “Lui, di nascosto, osserva te/ Tu sei nervosa vicino a me/ Lui accarezza lo sguardo tuo / Tu ti abbandoni al gioco suo”. Possiamo definire questa “scena” una partita a due dentro un gioco a tre, dove il terzo incomodo è nella posizione scomoda di subire le mosse degli altri due che dettano le regole in virtù di un’intesa accesa dal desiderio.
La psicologia “impazzisce” quando si tratta di Affinità Elettiva, perché questa circostanza straordinaria manda in fumo ogni tipo di analisi; si tratta della magia di un incontro fra due persone che stabiliscono fra loro una totale sintonia intellettuale, spirituale e talvolta fisica. Può capitare che un fenomeno del genere vada ad intaccare un equilibrio costruito a fatica negli anni. Nel suo quarto romanzo intitolato Le affinità elettive, il tedesco perdutamente innamorato di Napoli, Johann Wolfgang von Goethe racconta la tranquilla vita di una coppia sposata, sconvolta dall’entrata in scena di due personaggi, uno maschile e l’altra femminile che romperanno ogni tipo di equilibrio, faticosamente raggiunto dagli sposi. Qui entrano in gioco le affinità elettive che separano la coppia e creano nuove associazioni, nuove coppie, nuovi amori. Interessante il concetto dello scrittore ungherese Sàndor Marài sulla “Parentela spirituale”, egli crede nell’esistenza dell’anima gemella o comunque di uno spirito affine “ Come le persone appartenenti allo stesso gruppo sanguigno sono le uniche che possono donare il loro sangue a chi è vittima di un incidente, così anche un’anima può soccorrerne un’altra solo se non è diversa da questa; se la sua concezione del mondo è la stessa, se tra loro esiste una parentela spirituale”.
Appare chiaro che la complicità fra due persone sia una “magia”: l’uno intuisce ciò che l’altro sente, pensa, spera. Ed è una forma più alta dell’amore a cui siamo abituati, perché si instaura un dialogo muto in cui non c’è bisogno della mediazione delle parole. Fra persone affini non bisogna impiegare molto tempo per spiegarsi, semplicemente ci si capisce al volo, ci si legge dentro. Bastano uno sguardo, un gesto insignificante ed in un attimo tutto appare chiaro. Credo che gran parte di questa magia dipenda dall’intensità; quando due anime sono così sintonizzate l’uno sull’altro da cogliere anche il più impercettibile dei segnali. La complicità emotiva è l’incontro di due anime che si riconoscono e comunicano attraverso una lingua non riconosciuta, per certi versi criptica, fatta di silenzi, sguardi, piccoli segni.
Una sintonia che s’instaura fra colleghi di lavoro, amici, marito e moglie, persino fra un uomo ed il suo cane. Nella sfera sentimentale si fa chiaro riferimento ad un’intesa profonda; non si fa in tempo a completare un discorso che l’altro già ne intuisce il nocciolo, una frase detta a metà è completata dall’altro. Quando diciamo a qualcuno “Tu mi completi” e siamo sinceri, nel senso che si è davvero convinti di ciò che si afferma, in realtà stiamo riconoscendo all’altro un grande merito: gli stiamo dicendo che è l’altra metà della mela, il nostro complice, la persona che più ci capisce.
Quella spiritualmente ed intellettualmente più vicina a noi. Probabilmente non tutti, ma molti si sono ritrovati nella propria vita una figura del genere; qualcuno che li ha fatti sentire meno soli al mondo, meno incompresi. Qualcuno con cui essere se stessi al cento per cento, magari anche stupidi insieme, però appagati, pieni. Esiste questo tipo di rapporto ed è speciale, forse un po’ idealizzato, del resto è assai difficile chiedere all’essere umano di non idealizzare, di non generare un’idea romantica su qualcosa che fa sognare ed in qualche modo allontana la meccanicità della quotidianità. Dico una cosa su cui volutamente non ho voluto effettuare alcuna ricerca, quindi non sono a conoscenza di statistiche o sondaggi in merito, preferendo affidarmi all’intuito, alla sensibilità e all’esperienza: è soprattutto femminile la ricerca di un’intesa, di una complicità spirituale ed intellettuale.
Sono femminili le parole intesa complicità affinità e femminile è la voglia di evadere con la mente, di spaziare, curiosare. C’è nell’universo femminile una sofisticatezza che per l’uomo medio è difficile da capire ed in taluni casi persino da “accettare”. Piccoli segreti, anfratti, una parte che impropriamente potrei definire “astratta” e che si contrappone alla grande concretezza delle donne. Perché di concretezza e di sogno è composto l’universo femminile e quando si anela alla luna, in realtà si desidera una cosa molto più semplice: avere qualcuno con cui parlare. In silenzio. Raccontandosi tutto. Quasi tutto.