di Pasquale Di Fenzo
Del “Leone d’Oro alla carriera” assegnato a Roberto Benigni alla prossima Fiera Internazionale del Cinema di Venezia, ne vogliamo parlare? Fu vera gloria? Perché aspettare i posteri per avere l’ardua risposta? Anche a Dario Fo fu assegnato un meritatissimo Nobel. Anche se, forse, prima e più di lui, lo avrebbe meritato Eduardo. Ma tant’è… Non c’è dubbio che la linea spartiacque della carriera cinematografica di Benigni è costituita da “La vita è bella”.
Il precedente Benigni era considerato poco più che un guitto. Dal Cioni Mario di “Onda Libera” all’improbabile (ma non tanto) critico cinematografico de “Altra Domenica” o il “managgér” terrone di “FFSS”, entrambi di “arboriana” memoria.. Di lui restano scolpite nel tempo le performance televisive con Pippo Baudo, col quale si esibì in un clownesco scambio di vestiti oppure il nemmeno tanto mimato atto sessuale con la povera Carrà, con annesso elenco degli organi sessuali declamati dall’immarcescibile toscanaccio in tutti i dialetti italiani.
Noi napoletani ci sbellicammo dalle risate in febbrile attesa del maschile “Pi” e alla femminile “Pu”, con la variante “Effe”. Insomma una specie di Checco Zalone ante litteram, o, se volete, un Tony Tammaro più nazionale e meno popolare. Poi venne “La vita è bella”, dove si ride e si piange, proprio come nella vita. E, proprio come nella vita, non mancano le cantonate, non si sa se volute oppure dovute. Il carrarmato che entra da liberatore ad Auschwitz, e che il bambino pensava di aver vinto in premio, portava ben in vista il simbolo delle stelle e strisce ed era guidato da un soldato che masticava chewing gum.
Invece un testimone diretto di quegli avvenimenti, di nome Primo Levi, ha consegnato alla storia un’altra versione: i liberatori portavano il colbacco e la bandiera che svettava sulla torretta del carrarmato che mise fine a quello strazio, era rossa. Pochi lo notarono. Fa niente. Eravamo ancora tutti presi dalla Loren che aprendo la busta annuncia the winner is: “Roberto! Roberto!”.
Noi napoletani siamo un poco invidiosi, avremmo voluto che in seguito qualcuno avesse gridato pure: “Massimo! Massimo”, pensando al suo “Postino”. Ma non si può avere tutto. Una volta chiesero ad Alberto Sordi come mai gli americani non gli avessero mai assegnato un Oscar. E lui rispose: “Non è che gli americani non mi hanno mai dato un Oscar, è che gli italiani non mi ci hanno mai mandato agli Oscar”.
Comunque, sulla scia de “La vita è bella” (quando si dice godere di una buona stampa), l’anno successivo, la “intelligentsia” cinematografare nostrana selezionò il suo “Pinocchio” (qualcuno lo ricorda o è stato del tutto rimosso?) per rappresentare l’Italia alla nomination come miglior film straniero. Per me, quel “Pinocchio” resta la più grande cagata pazzesca di tutti i tempi, dopo la “Corazzata Potemikin”. Beninteso. Ma ormai il dado era tratto. Benigni poteva permettersi tutto. Non solo leggere la Divina Commedia o la Costituzione, finanche l’elenco telefonico di Firenze o l’elenco dei ministri degli esteri incapaci che si sono succeduti nella nostra Repubblica. Il successo sarebbe venuto lo stesso.
Però il meglio di sé lo ha dato quando aveva accanto qualcuno veramente bravo, una specie di “Sindrome di Koulibaly”, che ci fece vedere le cose migliori quando giocava accanto a una vecchia volpe come Albiol. Basti pensare a “Il piccolo diavolo”, assieme a Walter Matthau, oppure “Non ci resta che piangere”, con l’amico Massimo Troisi, dove giganteggiava e gareggiava in bravura e comicità, prendendo di volta il volta il sopravvento, oppure appiattendosi a spalla, alla Peppino; nella scena della dettatura della lettera a Savonarola.
Straordinario omaggio alla coppia Totò e Peppino. Auguri Roberto! Le vittorie nel cinema, come nel calcio, se non sono del tutto meritate, fanno pure più piacere. Il tuo nome va ad aggiungersi a quelli di altri registi che hanno vinto il “Leone d’Oro alla carriera” e che in fondo si chiamano solo Luis Bunuel, Orson Welles, John Ford, Charlie Chaplin, Billy Wilder, Frank Capra, Woody Allen, Francis Ford Coppola. Oltre ai “nostri” Antonioni, Fellini, Monicelli, Francesco Rosi e qualche altro. Non sentirti imbarazzato di sentirti imbarazzato.