di Christian Sanna
Libri, articoli di giornali, testi di canzoni, poste del cuore in soccorso di chi lascia e di chi viene lasciato. Quanti consigli su come gestire la fine di una relazione, spesso da parte di chi sentimentalmente sta più “scassato di te”, perchè nell’immensa palude della contraddizione umana ci sta sempre bene quel pensiero deandreiano “Si sa che la gente dà buoni consigli sentendosi come Gesù nel tempio /Si sa che la gente dà buoni consigli se non può più dare cattivo esempio”.
Se il cuore fosse un osso potrei dire d’avere il cuore fratturato, ma non accuserei nessuno, perchè le cadute me le sono procurate da solo durante i voli pindarici in cui ho confuso la vita di tutti i giorni con la magia di momenti da mille e una notte. Come certi poeti romantici credo di aver amato disperatamente più il modo in cui mi guardava che lei, perché in fondo, magari a bassa voce, una cosa si può dire: si é innamorati della poesia che viene ispirata, delle emozioni che l’altro ci trasmette e vorremmo, aggrappati all’idea di eternità, che quella luce negli occhi non si spenga mai.
Rimpiangere un amore del passato, talvolta, non ha a che fare con quella persona perché ci manca, ma é un un modo per costruirsi una leggenda personale che ci riscatti, dinanzi ad un presente dimesso. Come a ricordare, prima a se stessi e poi agli altri: Hey, guarda che qui c’è stata opulenza, ho avuto storie, occasioni. L’amore circolava come un pazzo e mi batteva forte il cuore.
Vladímir Majakóvskij, fra poesia e rivoluzione, il 14 aprile del 1930 decise di non diventare mai vecchio, sparandosi un colpo di pistola al cuore. In mezzo a tanta disperazione, non aveva mai smesso di pensare un attimo a Lilja Brik e di sognare la florida vaghezza delle sue labbra. La compagna, più tardi, scrisse: “Se non avesse esasperato tutto, non sarebbe stato un poeta. Sentiva e viveva con forza iperbolica: amore, devozione, amicizia”. Cesare Pavese non fu molto fortunato con le donne, considerate le numerosi delusioni amorose ricevute. Ne Il Mestiere di Vivere é interessante questo passo che inquadra senza definire completamente la solitudine esistenziale del pensatore innamorato “Certo, avere una donna che ti aspetta, che dormirà con te, è come il tepore di qualcosa che dovrai dire, e ti scalda e t’accompagna e ti fa vivere”. Sempre ne Il Mestiere di Vivere con forza afferma ” Non ci si uccide per amore di una donna. Ci si uccide perchè un amore, qualunque amore, ci rivela nella nostra nudità, miseria, inermità, amore, disillusione, destino, morte”.
La nostalgia di un amore perduto diventa l’occasione di misurarsi col tempo che passa, valutarne i cambiamenti e fare un esercizio di mitizzazione di sè stessi; a quel tempo, la storia finì perchè non si andava d’accordo, ma non importa. poichè quel passato resta più dignitoso di qualsiasi presente di non amore. Così, c’è chi arriva a rimpiangere le cotte estive di gioventù o le scritte sui banchi di una compagna di liceo innamorata con i cuori accanto al proprio nome. All’epoca la cosa poteva sembrare anche ridicola, oggi dico Evviva quella spontaneità, la purezza dei gesti semplici. Gli abiti anni sessanta e la musica jazz fanno da sfondo ad un finale inaspettato, intriso di malinconia.
La La land ci insegna, attraverso il sogno e una fantastica fotografia, quanto per raggiungere i propri obiettivi i compromessi pesano su una storia d’amore che sembrava destinata al lieto fine. In quell’epilogo di musica, sguardi e silenzi, viene fuori il rimpianto per ciò che poteva essere e non è stato. Non passerà mai di moda per orecchie nostalgiche la voce unica di Battisti quando intona “Non so con chi adesso sei/non so cosa fai/ma so di certo a cosa stai pensando. E’ troppo grande la città per due che come noi non sperano, però si stan cercando”. Che ci sia una inconsapevole connessione, a distanza di tempo, fra due che si sono amati senza averlo, allora, capito? A volte basta il pensiero che è un modo d’incontrasi; come se l’altra/o sentisse che ci stai pensando, ne avvertisse il rimpianto. I veri amanti non si chiamano al cellulare, ma si scrivono col pensiero, ne sono convinto.
Non aveva ragione mio nonno (quanto l’ho amato senza averglielo mai detto) quando diceva che dopo i vent’anni il tempo vola. Il tempo, si sappia, è una delle poche cose che resta fedele a se stessa, immutabile, schiavo del suo mestiere. La sensazione di velocità ce la danno le cose che accadono, i fatti, la vita, gli impegni, la consapevolezza della cattiveria nel mondo, le responsabilità. A diciotto anni si deve essere responsabili della propria felicità (sempre nel rispetto degli altri) e bisogna esercitare il diritto a sognare, a sperare in un futuro migliore. Il tempo resta fedele a se stesso, siamo noi a tradirlo con le nostre scelte.
Ora, non mi resta che immaginarmi come una specie di scrittore dallo scatto breve, un ricercatore elementare di felicità che una volta ottenuta, non sa poi che farsene. Cammino in un cimitero di ricordi e di storie accompagnate meravigliosamente al fallimento. Si è allentata un pò la tensione emotiva, quel che ci voleva per guardare al passato con occhi nuovi. C’è stato un tempo in cui misuravo la vita al ritmo del suo passo; quando la donna ideale s’avvicinava aumentavano le poche probabilità che avevo d’essere felice. Ma quando s’allontanava ero un bicchiere in frantumi che perdeva, l’acqua sua fonte di vita, da tutte le parti.
E’ passata una vita. A nulla è servito ascoltare Rubinstein ne Il Sogno d’amore di Listz o immaginare una donna dalla lunga rossa trama di capelli sorridermi all’ombra dell’ Olea europaea. Resto, come molti, intrappolato dentro la rete dei capelli di qualcuna che mi pensava con amore e nella partita a carte con solitudini e bilanci. Però, di tutte mi viene la nostalgia per due donne. Solo due, non me ne vogliano le altre. Non scandalizzi che non le abbia mai incontrate; Una è la bella Betty di Albert Lynch e l’altra è senza nome, probabilmente un’attrice, raffigurata ne Il sole ardente di giugno di Frederic Leighton. Con la prima farei il pensierino di andare a vivere in una casa ammobiliata in centro a Parigi negli anni trenta, mentre veglierei tutta la vita sui sogni dell’altra. Nella speranza di non addormentarmi.