di Mario Piccirillo
Non muoverti, non provarci nemmeno, sei forse impazzito? Sguardo in basso, l’occhio vuole la sua parte e tu non puoi mostrarti di parte. Niente braccia alzate, niente pugnetto, non saltellare, non indicare, non mimare il violino, figurarsi il mitra, e quel balletto caraibico, amico mio, tientelo buono per una serata tra amici. Non cullare bebè invisibili, e il sottomaglia che resti sotto. Hai segnato un gol alla tua ex squadra?
Onestamente non so mo come la metti. La prossima volta, magari, pensaci bene: vale tutto sto stress?
Ancora meglio: hai 23 anni, sei il capitano della tua squadra, non una squadretta, mettiamo l’Inter. Hai fatto in tempo, a 23 anni, a rubare la moglie ad un tuo ex idolo, a farci pure una nidiata di pargoli, a far incazzare Maradona e Messi (dico… Maradona e Messi!), e a dettare un’autobiografia quando la maggior parte dei tuoi coetanei potrebbe scrivere sul proprio conto al massimo un paio di cartelle su precariato/fuoricorso/fantacalcio. Era evidentemente ubriaco il tuo editor quando ti ha lasciato pubblicare un paragrafo da bulletto di periferia nel quale minacci i tuoi tifosi di aspettarli con “100 criminali argentini” per ammazzarli uno ad uno. Anzi no, a pensarci bene fossi il tuo editor te l’avrei fatta passare anche io, è una minchiata troppo spettacolare per restare lettera morta. Ma in ogni caso, il punto è lo stesso: con gli ultras non si scherza. Non si può, perché – dice una bandiera del ben-calcio come Javier Zanetti – “gli ultras sono la cosa più importante”.
La prassi pallonara, nei suoi estremismi sempre più patologici, ha ormai codicizzato la sottomissione a questa variegata tribù di malati sociali. Stabilendo, nei secoli dei secoli, persino il galateo dell’esultanza. Questa storia di Icardi, in mezzo ad altri cento precedenti, mi ha fatto tornare in mente Fabio Quagliarella. Ve lo ricordate sull’orlo di una crisi di nervi con la maglia del Torino al San Paolo? Segna un rigore al Napoli, sua ex squadra. Non esulta. Anzi giunge le mani sul capo come a chiedere scusa. E si ritrova catapultato in un labirinto di assurdità che lo porterà ad emigrare a Genova a fine stagione. Perchè a quanto pare, dopo il gol, non puoi esultare perché si incazza la tua ex tifoseria, ma non puoi nemmeno non-esultare perché si incazza la tua tifoseria attuale. Quagliarella, dopo essersi sorbito 90 minuti di offese sulla di lui madre, si becca pure la ramanzina dei tifosi del Toro: “Ma come, segni al Napoli e chiedi scusa?”. E allora il povero Quaglia prende social e tastiera e prova a spiegarsi, in un incubo di dribbling lessicali per non offendere nessuno. Pensate che quest’uomo arriva a teorizzare la non-esultanza come segno di rispetto assoluto: “Tutti sanno che da qualche anno io non festeggio più i gol realizzati contro le mie ex squadre. Giustamente i tifosi del Toro ricordano un precedente diverso, datato ottobre 2008, quando invece festeggiai con la maglia dell’Udinese la doppietta realizzata contro il Toro. E sbagliai: fu proprio quello il momento in cui realizzai che gioire per un gol segnato a una Società che ti ha dato molto, nei confronti di una tifoseria che ti ha voluto tanto bene, fa due volte male”.
Fabio Quagliarella, se fa gol, non può esultare contro Juventus, Napoli, Udinese e Torino, in serie A. Pover’uomo, dico io.
Il caso di Icardi, poi, è di scuola. Il ragazzo, in campo, è intoccabile: segna, è uno degli attaccanti più forti del mondo. Ma il punto è esattamente questo: quando si parla di ultras il campo c’entra pochissimo. Non è la squadra che conta, è la “mentalità”. E se li sfiori, e se li sfotti, e se non abbassi la testa, e se non obbedisci, e se non ti togli la maglia, e se non li ospiti in ritiro, e se non ti fai cazziare dopo una sconfitta, se non rispetti il loro codice comportamentale, non sei nessuno. Sei il nemico, altro che capitano.
Ecco, a togliere ogni ombra di discutibilità sul tema (Icardi ha sbagliato, no sbagliano i tifosi… ecc…) basterebbe fissare il metro di paragone sulla questione: Paolo Maldini. Inoppugnabilmente uno dei difensori più forti e corretti della storia, bandiera del Milan per famiglia e carriera, che a Malpensa, di ritorno dalla finale di Champions persa a Istanbul contro il Liverpool, fece lo sgarro di non fermarsi a farsi offendere dai tifosi inferociti: “Io con voi non ci parlo, siete solo dei mercenari”. Dopo 647 partite col Milan, alla sua partita d’addio fu accolto da striscioni del genere: “Sul campo campione infinito ma hai mancato di rispetto a chi ti ha arricchito”. Capito?
Per un Maldini che ha la statura morale per fottersene, c’è sempre un Quagliarella che non saluta nemmeno la moglie a casa per paura di offendere un qualche suo ex ultrà. O un Icardi, capitano idiota dell’Inter, costretto a svicolare in retromarcia tra comunicati stampa e social pur di non farsi aggredire sotto casa. Non ci sono i cento criminali argentini, a difenderlo. E nemmeno una società, di proprietà internazionale, che per bocca di una sua ex bandiera, sottoscrive questo medioevo sociale: “Gli ultras sono la cosa più importante”.