Il mondo, per definizione, è un incrocio di culture e di razze.
In tutti i momenti cruciali della storia umana, le razze e le culture si sono mescolate, contaminate, producendo così ottimi risultati per i consessi sociali, che si andavano definendo.
Non è un caso, se la nazione più ricca e potente al mondo siano gli Stati Uniti di America, che hanno concretizzato, nel corso dell’Ottocento e del Novecento, una miscellanea di etnie, che li ha portati a prendere da ciascuna di queste il meglio che esse potevano offrire.
È ovvio che l’integrazione di differenti culture non può che avvenire attraverso contrasti e conflitti, prima di natura politica e, poi, nei casi peggiori, finanche di tipo paramilitare, ma è evidente che nessun processo nella storia si consuma, se a monte non si paga un costo più o meno alto.
Orbene, nel caso italiano, l’immigrazione è un fenomeno relativamente recente, visto che, invece, per tutto l’Ottocento ed il Novecento siamo stati abituati piuttosto a fenomeni emigratori, che sovente hanno svuotato le nostre regioni più povere, quelle del Meridione e quelle del Nord-Est.
Pertanto, vista la novità, è chiaro che gli Italiani si sono trovati al cospetto di un’emergenza autentica, che ha modificato non poco le tradizioni di una società, come la nostra, che ha sperimentato, per un verso, il senso dell’accoglienza e, per l’altro, purtroppo le repulsioni e le spinte in senso contrario da parte di quegli ambienti che, per ragioni svariate, hanno interesse a respingere gli stranieri o a farli divenire una questione politica, da strumentalizzare unicamente a fini elettoralistici.
È il caso, in particolare, di quegli ambienti leghisti e di estrema Destra, che sperano, su tematiche simili, di attrarre a sé il consenso dei ceti italiani più disperati, così da suscitare una vera e propria guerra fra poveri.
È chiaro che, in un simile contesto, non solo aumentano i contenziosi e la conflittualità sociale, ma all’unico scopo di fare demagogia non si dà, neanche, una risposta autorevole al problema che pure esiste per un’economia, come la nostra, che deve integrare tanti nuovi arrivi in una contingenza storica, che non è di certo fra le migliori.
La Chiesa, le associazioni, i partiti politici progressisti cercano, a volte invano, di evitare non solo la guerra fra poveri, ma soprattutto l’insorgere di sentimenti di avversione e di intolleranza, che possono solo minare l’unità e la compattezza del consesso sociale, ma è ridondante sottolineare che gli sforzi in tal senso devono superare problematiche molteplici e di non facile soluzione, anche perché non si può ovviamente dimenticare gli interessi, non sempre cristallini, che si agitano in tale settore.
È una lotta che non finirà nel breve periodo di tempo: bisognerà contrastare, ancora, sentimenti e velleità da parte di chi non vuole accettare l’integrazione dei “nuovi” Italiani, ma è chiaro che, se le migliori energie del Paese andranno tutte nella medesima direzione, si vincerà finanche questa nuova sfida, che non è, invero, più complessa di altre, più delicate, che si sono vinte nei decenni scorsi, quando il Paese ha superato scommesse essenziali per la sua sopravvivenza.