di Tina Fusco
Si fa un gran parlare, negli ultimi tempi, di percorsi di crescita personale e spirituale, di autoguarigione, di autoformazione e simili. Uno dei temi prediletti è quello delle relazioni interpersonali, delle relazioni affettive, in particolare quello delle relazioni di coppia. Ritorna spesso il concetto di amore incondizionato, espressione antica, investigata dalle grandi tradizioni spirituali d’oriente e d’occidente nonché da quasi tutte le moderne teorie psicologiche.
Amore incondizionato in contrapposizione all’amore dipendente, si dice. Negli anni ottanta, Bert Hellinger, teologo psicologo tedesco, elabora la teoria delle Costellazioni Familiari Sistemiche, un approccio fenomenologico sistemico applicato alle relazioni familiari ed affettive di ogni genere.
Esistono degli “ordini” in amore che vanno rispettati e gli ordini vengono prima dell’amore. Perciò, i genitori danno e i bambini ricevono; i genitori guidano e sostengono i loro figli fino all’età adulta e i figli mai si sostituiscono ai genitori, mai portano il peso delle loro responsabilità e, soprattutto, arrivati in età adulta, i figli lasciano i genitori, riconoscendo la loro importanza, ma continuando la loro vita in perfetta autonomia. Ugualmente tra fratelli, il più piccolo rispetta e onora il più grande, il più grande fa lo stesso, ma mai potrà essere “esautorato” dal più piccolo; e così via.
Se nel rapporto genitori-figli (non adulti ovviamente), è naturale parlare di amore dipendente, in quanto i genitori danno e i figli ricevono totalmente, nella relazione d’amore vale decisamente l’opposto. Non dipendenza, in nessuna forma, ma parità. Parità tra i partner significa che nessuno dà o riceve più dell’altro.
Nessuno fa da genitore o da fratello maggiore all’altro. Laddove ciò si dovesse verificare, laddove l’ordine, appunto, tra pari dovesse diventare qualcosa di diverso, la coppia ne risentirà. E si badi, mai dimenticare che la coppia viene prima dell’essere genitori. Ci si ama e si dà reciprocamente, ma si dà liberamente ciò che si è in grado di dare. Se un partner dà e l’altro, ricevendo, riesce a contraccambiare per amore e in amore, un po’ in più, l’altro sarà stimolato a fare altrettanto; in tal caso la relazione cresce. Ma se un partner dà e l’altro non riesce, spontaneamente, a ricambiare in egual modo o in misura maggiore, un po’ alla volta la relazione si esaurirà.
Allo stesso modo, bisogna misurare e dosare l’amore che si dà: amare troppo è deleterio, può sovraccaricare l’altro di responsabilità laddove dovesse sentire di non poter contraccambiare allo stesso modo. L’amore soffocante crea catene e inconsci sensi di colpa. Perciò, bisogna dare né più né meno di quanto l’altro sa e può ricevere. E quando ci si rende conto che, in questo scambio, non c’è più crescita, bisogna lasciarsi andare, accettando che le cose siano così come sono, senza tentare a tutti i costi di cambiare o piegare la realtà ai nostri egoistici desideri. In quest’ottica, ogni relazione è destinata a finire: ogni percorso in due esaurirà delle fasi o si esaurirà del tutto; a noi sta sapere cogliere ed interpretare ciò che quel percorso ci ha lasciato.
E’ solo un altro modo di esprimere la visione universalmente accolta, appunto, di amore incondizionato, quello descritto meravigliosamente da pagine sempre attuali di Erich Fromm. L’amore è, l’amore si dà. L’amore è rispetto dell’altro, è desiderio di felicità e crescita dell’altro, è accettazione dell’altro così com’è e non così come vorremmo che fosse. “Sembra un paradosso, ma in amore due esseri diventano uno e tuttavia rimangono due” (Fromm).
E la più alta espressione di amore incondizionato, di un amore che vive e si appaga del solo dare, libero da aspettative e proiezioni verso l’altro, è il lasciar andare. Dalla fine di un amore si può imparare se è stato veramente amore. Se ti amo, ti lascio andare verso il tuo destino, la tua realizzazione con chi meglio ritieni possa stare al tuo fianco. Come insegna un grande maestro di minfulness da poco scomparso, “non si può smettere di amare” (Attilio Piazza): si può decidere di separarsi, di allontanarsi, di non vedersi né sentirsi, ma non si smette di amare chi si è amato e si continua a portare amore e a darlo silenziosamente finché quell’amore si trasformerà in qualcosa di diverso. Sembra una cosa irrealizzabile, ma l’amore incondizionato non dovrebbe far soffrire. Difficile a dirsi; difficilissimo a farsi. Eppure, è possibile.
Soprattutto, non dimenticare mai che la prima e più importante relazione d’amore è con noi stessi: solo amando e accettando pienamente noi stessi, i nostri limiti, i nostri difetti, saremo in grado di amare l’altro così com’è senza pretese di cambiamenti, senza strangolarlo con richieste eccessive o sommergerlo di eccessivo amore, che altro non è che un differente modo di pretendere attenzioni. Ciò non vuol dire che in amore non si possa chiedere, ma è necessario imparare a discernere una richiesta da una pretesa. Come insegna M. B. Rosenberg, padre della Comunicazione Non Violenta, distinguiamo una richiesta da una pretesa quando nel manifestare al partner un nostro bisogno (e al partner si deve poter esprimere i nostri bisogni liberamente), gli facciamo sentire che se non potrà assecondarci non accadrà nulla, che non dovrà sentirsi in colpa, avendo cura di creare poi, al momento giusto, un dialogo sereno sul perché di quel rifiuto.
Non mi piace Osho, eppure di recente una sua frase mi ha colpito: “non fare l’accattone, in amore sii un imperatore”. L’amore non si elemosina, si dà e basta. Non si attende, si riceve con gratitudine.
Piccola bibliografia:
Erich Fromm, L’arte di amare
Bert Hellinger, Ordini dell’amore
Id., Riconoscere ciò che è
Marshall B. Rosenberg, Le parole sono finestre (oppure muri). Introduzione alla comunicazione non violenta
Vito Mancuso, Io amo. Piccola filosofia dell’amore
Attilio Piazza, Mindfulness per le relazioni affettive