Quella che stiamo vivendo è una campagna elettorale insolita.
In primis, esiste una legge elettorale che non è in grado di assicurare la governabilità, per cui all’indomani del voto del 4 marzo potrebbe essere necessario dar vita ad una coalizione molto ampia, che arrivi a comprendere partiti, finanche, distanti fra di loro pur di assicurare un Esecutivo al Paese.
Inoltre, per la prima volta, da venti anni a questa parte, i soggetti politici che possono conseguire un dato importante in termini di consenso sono ben quattro, visto che al Centro-Sinistra ed al Centro-Destra si sono aggiunti sia il M5S, che Liberi ed Uguali, la formazione nata dalla diaspora del PD.
In tale contesto, le partite che si giocheranno nei collegi maggioritari di Camera e Senato non possono che affascinarci, visto che esiti imprevisti possono, ampiamente, verificarsi e far saltare i pronostici iniziali.
Peraltro, si sa bene che il voto politico è ben diverso da quello amministrativo, visto che il primo premia molto il cosiddetto indirizzo di opinione, a prescindere – a volta – dal vero ed effettivo radicamento dei candidati sul territorio di loro pertinenza.
In tal senso, non possiamo dimenticare il grande successo che ebbe il M5S nel 2013, quando si presentò con dei candidati del tutto sconosciuti ed arrivò a mettere in difficoltà il PD di Bersani, a tal punto da impedire a quest’ultimo di fare il Governo, cosa che, invece, sembrava scontata durante la campagna elettorale.
In momenti di crisi, è ovvio che l’opinione non può che premiare chi ha fatto opposizione ovvero chi si presenta in modo antagonistico rispetto alle forze che hanno governato.
Pertanto, chi potrà acquisire il maggiore beneficio dall’eventuale emorragia di voti in uscita dal PD renziano?
Per ovvie motivazioni, evitiamo di fare pronostici intorno ad una competizione che, fino al 4 marzo, ci riserverà grandi sorprese, ma certo non possiamo non constatare che esistono alcuni partiti – come il PD, Forza Italia e Liberi ed Uguali – che hanno un comune terreno europeista rispetto alle altre formazioni che, invece, in caso di vittoria spingerebbero l’Italia fuori dall’Europa.
L’europeismo non può che essere, in tale ottica, il trait d’union che tiene insieme il futuro Governo, per cui, se elezioni non dovessero consegnarci un vincitore unico ed indiscusso, è chiaro che in primis il Capo dello Stato non può che rivolgersi a coloro che hanno interesse a consolidare il nostro rapporto con l’Unione.
Pertanto, il voto degli Italiani non può non tenere conto di siffatta variabile, che rappresenta il punto qualificante di chiunque voglia, credibilmente, proporsi al futuro Governo della nazione.