La scuola è stata investita negli ultimi tempi dall’ imperdonabile violenza sui docenti; una violenza perpetuata da alunni e genitori a diverso titolo e con differenti metodi. Si tratta di casi isolati o di una preoccupante reazione negativa sociale nei confronti di una categoria di lavoratori? Un tempo racconti di violenza sugli insegnanti non si sentivano affatto o, comunque, non si sentivano con tanta frequenza. È probabile che siano sempre accaduti momenti di incomprensione tra chi insegna e chi apprende, ed anche tra il docente e chi si sente in diritto di intervenire a difesa del proprio figlio, ovvero il cosiddetto genitore iperprotettivo. Ma perché ultimamente, invece, si registra un incremento di atti di rabbia e violenza verso gli insegnanti come mai prima d’ora? Da un lato c’è il ruolo della scuola depauperato della sua consistenza a causa delle riforme inconcludenti, che hanno minato la forza e la valenza del principio di congruenza e coerenza. Dall’altro c’è una insoddisfazione di fondo tra i giovani ed i loro genitori nei confronti della società in generale alimentata da paure, pericoli, ostilità quotidiane, ma anche difficoltà di affermarsi e di poter essere. Il docente dovrebbe essere colui che risolve, che riempie dei vuoti, che forma e fortifica, che istruisce e indirizza; per cui – forse- laddove ciò avviene solo in parte per i più disparati motivi, qualcuno si sente in diritto di tradurre tutto in una deprecabile violenza senza senso? La docente di Caserta accoltellata al volto, il Dirigente Scolastico dell’istituto Murialdo di Foggia preso a pugni da un genitore risentito perché il figlio il giorno prima era stato rimproverato per aver spintonato i compagni in fila per l’uscita, sono solo alcuni degli episodi di violenza a danno delle figure chiave della scuola.
In una scuola della inclusivitá, della tolleranza e della condivisione tutto questo risuona come un affronto inaccettabile, un campanello di allarme per tutto il mondo e non solo per la scuola. No, non si parla di allarmismo, inutile e controproducente, ma di un allarme antropologico- sociale che non va trascurato. Una reazione quando è spropositata é fuori luogo, é vigliacca, è traditrice nei confronti dell’onestà e della fiducia . Un docente che subisce dai suoi alunni – e non può reagire in sua difesa per coerenza ai principi di non violenza e tolleranza- e subisce anche dai genitori, é un Docente che è ferito non solo sulla pelle, ma nel suo ancestrale principio di formazione, nella sua missione di educazione, nei suoi intenti di istruzione. Non si può non essere preoccupati di tanta mancanza di rispetto e di reattività fisica nei confronti dei professori. Non si può non essere guardinghi nei confronti di un mondo che dimentica il buon senso, rinnega l’ importanza e la consistenza di certe istituzioni, come la scuola, e si consuma e si mortifica nella violenza, creando un danno esistenziale senza precedenti.
Edgar Morin, ci parla di una crisi multidimensionale che la sola educazione, pur rigenerata, non potrebbe da sola affrontare il nostro male di vivere. “Ma potrebbe formare adulti più capaci di affrontare il loro destino, più capaci di far fiorire il loro vivere, più capaci di conoscenza pertinente, più capaci di comprendere le complessità umane, storiche , sociali e planetarie, più capaci di riconoscere gli errori e le illusioni della conoscenza, nella decisione e nell’azione, più capaci di comprendersi gli uni con gli altri, più capaci di affrontare le incertezze, più capaci di affrontare l’avventura della vita”. E allora, facciamo un altro tentativo: rigeneriamo la nostra cultura, la nostra educazione, la nostra Scuola fortificando i processi e le procedure che rendono troppo vacillante la professione Docente. Insomma, una nuova deontologia del fare, lontano dalla 107/2015.