di Enrico Ariemma
Che dolorosa meraviglia, piangere quando hai perso.
Quando ti senti tradito da coloro che ami, che idolatri. Quando quel pallone che calciavi al Bosco o in Floridiana diviene sostanza dei tuoi giochi di bimbo e forma di una parte di vita, quando ti sembra che in un momento il mondo crolli per un errore di un idolo, che da iconoclasta precoce vorresti mandare in frantumi per poi ricomporre i cocci e tornare ad offrire libagioni.
Sì, Sono anche io, questo bimbo. Con lo stupore del primo giorno al Tempio, quel verde lucente più di oggi, con le mie lacrime disperate per core ‘ngrato Altafini, quel giorno a Torino, quarant’anni fa e più.
Ma si piange da adolescente, e ho pianto per l’autogol di Ferrario. Si piange da giovane, e ho pianto quel Primo maggio. E si piange da uomo maturo, e ho pianto per i dodici punti, e per quel rigore tirato alle stelle da un laido traditore a cui aveva donato tutto me stesso.
Questo bambino meraviglioso ha pianto pure perché purtroppo, dicimmancello, chi piange sogna, lui ha un sogno nel cuore, e il sogno rischia di dissolversi. Ma si farà ometto e piangerà ancora. Con la sua ingenua bellezza, quella che, solo qui, nella zona franca dei colori per cui si trepida, è l’indifesa innocenza non soltanto dei bimbi, ma anche dei ragazzi, dei giovani, degli uomini.