di Alessandro D’Orazio
Macron: “Abbiamo le prove”. Merkel dice no alla partecipazione militare della Germania, segue l’Italia.
Dopo aver assistito lo scorso 7 aprile a Duma, in Siria, nella Ghouta orientale (vicino Damasco) ai violenti scontri tra ribelli e truppe dell’esercito siriano guidate dal presidente Bashar al-Assad, l’opinione pubblica internazionale si sta interrogando sulla presenza e contestuale utilizzo di armi chimiche nel Paese. Secondo numerose testate giornalistiche, infatti, sarebbe stato lanciato contro la popolazione un attacco chimico con sarin e altri gas a base di cloro, uccidendo decine di persone e ferendone centinaia. La notizia ha scatenato forti reazioni anche nel mondo della politica, oltre alla ventilata ipotesi di un intervento americano nel conflitto in territorio siriano.
Fin da subito, però, accanto alle condanne contro il regime di Assad, si sono diffuse voci di dissenso nei confronti della notizia, ritenuta da alcuni infondata, circa l’utilizzo ed il possesso da parte della Siria di tali armi di distruzione.
Appurare la verità in queste circostanze è tutt’altro che semplice: il Paese siriano è infatti in guerra dal marzo 2011 e l’accesso nel territorio di osservatori neutrali che possano riferire con un giudizio imparziale dei fatti realmente accaduti risulta di difficile attuazione. Inoltre, compito arduo sarà quello di individuare i materiali esecutori dell’attacco, in considerazione di uno scenario bellico assai complesso e variegato.
Nel frattempo dall’Europa giungono dichiarazioni decise. “Abbiamo la prova che la settimana scorsa sono state utilizzate armi chimiche in Siria da parte del regime”: sentenzia il presidente francese Emmanuel Macron. Più caute invece le posizioni di Germania e Italia, decise a sfilarsi da un’eventuale azione militare, a differenza di Parigi e Londra, le quali sarebbero pronte a decidere i raid insieme a Washington.
La decisione di un possibile intervento militare congiunto è per questo vincolata alla decisione del presidente americano Donald Trump, sul quale pendono le sorti future del conflitto.