La vicenda AfroNapoli è estremamente complessa, pur nella sua provinciale marginalità, e dunque né con AfroNapoli, né con la Astarita.
Da un lato, il controsenso meraviglioso di una squadra di calcio che, a partire dai meccanismi di reclutamento dei tesserati, va in deroga a considerazioni meramente tecniche ed esibisce la propria (fecondissima) unicità di progetto politico.
Dall’altro, l’immissione dell’ideologia, nobile sia chiaro, in una cosa che si chiama sport e che nell‘immaginario collettivo è priva di colori connotazioni sovrasensi, perché se lo sport è politica allora non può esserlo col timer.
Anzi, lo sport (che nasce “senza” politica) può ben essere strumento di rivendicazione politica: per cui Jessie Owens o Tommie Smith, partendo dalla prestazione, senza la quale il loro grido non avrebbe uditori, dicono qualcosa ATTRAVERSO lo sport e DOPO la vittoria.
AfroNapoli è una cosa diversa: in AfroNapoli la politica, e per politica intendo un bellissimo progetto di inclusione, accoglienza, multiculturalità, meltin’pot applicato al pallone precede lo sport e chiede di calarsi in esso PRIMA della prestazione.
A scanso di equivoci, ripeto che la cosa è nobile, lo è in assoluto, lo era nel 2009 e figuriamoci adesso, la relazione tra il corpus sano e la mens sanissima e soprattutto libera non la scopro io, però questo distinguo tra il dopo (Owens, Smith) e il prima (AfroNapoli) forse chiarisce i termini della questione.
Se vuoi fare prima politica e poi sport richiedi pregiudizialmente ai tuoi tesserati un processo di omologazione, stupendo perché io sto con i ragazzi del Senegal e della Sanità e non con i razzisti salviniani, ma continuo a pensare che elevarlo a pregiudiziale condizione del fare sport non è esattamente sport, che è unione e non divisione, è aggregazione e non esclusione, e dunque devi mordere il freno quanto scopri che la Astarita fa una porcata del genere, senza contare che tieni pure la colpa di non sapere che era stata consigliera di Forza Italia (e l’attenzione al reclutamento?)
Poi a fine anno rescindi unilateralmente, nel frattempo le togli la fascia di capitano, invece la linea dura ti pone davanti all’imprevisto della solidarietà delle compagne, e volevo pure vedere, “Titti ha scelto di giocare nell’AfroNapoli, non l’abbiamo chiamata noi quindi se non è più d’accordo con noi può andare a giocare in un’altra squadra”, io capisco benissimo e di pancia dico pure che queste parole sono il minimo, però non venitemi mai più a dire che AfroNapoli sia un progetto sportivo, AfroNapoli è un soggetto politico e va bene così perché come soggetto politico a questa terra può fare solo bene.
Il tutto, al solito, condito in salsa impermalita logolamentazionale partenopea, perché per me se ci si iscrive a un campionato si gioca a pallone, come fanno Koulibaly e Diawara insieme a qualche compagno che simpatie di destra le ha.
A voi studio.