di Mariateresa Belardo
Ne parlavo, pacificamente, con un amico, che sul Ministro Costa ha un’opinione divergente dalla mia, anche se questo non ci impedisce di confrontarci.
La politica è, inevitabilmente, compromesso, anche se non necessariamente nell’accezione negativa del termine. Qualcuno crede che debba o possa essere dimostrazione di integrità alzarsi da un tavolo istituzionale e dimettersi, laddove le proprie posizioni non trovano sostegno nella maggioranza.
A volte, però, è necessario restare e insistere affinché i propri ideali, supportati dalle indiscusse competenze in merito, possano realizzarsi. Quando un uomo, a cui da sempre sono riconosciuti meriti, capacità e la suddetta integrità, accetta un mandato, sicuramente vaglia pro e contro di quella decisione.
Accettando si mette in conto non la possibilità, ma la certezza di essere attaccati per quello che si riesce a fare (che sarà sempre troppo poco) e quello che non si riesce a portare avanti (non totalmente, non subito, non come si sarebbe voluto) che sarà, inevitabilmente, sempre troppo. Forse, e dico forse solo per non essere tacciata di servilismo (è successo, anche se non me ne è stata spiegata la ragione e il senso), in nome di ciò in cui si è sempre creduto e lavorato – sul curriculum nulla quaestio, almeno pare – si mette sulla bilancia da una parte tutta la cacca che ci si vedrà lanciare contro, e dall’altra anche solo la minima parte di quei famosi ideali che un ruolo “istituzionale” ci consentirà di concretizzare.
Per un’anima pulita, forse, quella minima parte basterà a sopportare tutto il resto.
Ecco perché io non potrei mai fare politica. Non perché non ne capisco nulla e sono profondamente ignorante in materia: a quello ci potrebbe essere rimedio, ma per il fatto che io avrei già mandato tutti amabilmente (e anche no) affanculo, tornando a fare il mio lavoro, quello per cui continuo a prendere lo stipendio, avendo rinunciato, oltretutto, anche ai benefici economici derivanti dal mandato accettato.
Ecco il motivo per cui, sempre da ignorante, resto interdetta davanti a chi pensa, e dice, che Sergio Costa abbia “tradito”, non si capisce bene chi, quando, dove e in nome di cosa.
Chi mi conosce e mi legge, sa che ho conosciuto Costa quando, da generale, tirava fuori la monnezza dalla mia terra, respirandone i miasmi e intossicandosi in prima persona; ne ho sempre parlato bene, ho sempre provato a raccontare il suo lavoro e quanto la sua figura rappresentasse, per gli abitanti della Terra dei fuochi, una delle poche luci di speranza.
Da Ministro della Repubblica italiana, le sue responsabilità sono inevitabilmente aumentate, le sue scelte saranno ovviamente contrastate e messe in discussione. Ma, come lui stesso ha scritto, certe lotte non dovrebbero avere colori né steccati, e bisognerebbe comprendere che le ideologie di partito o per partito preso, le divisioni e gli estremismi, non fanno di certo bene a quella che – finora – ha visto gli ambientalisti della zona far fronte comune.
Non scrivo per lavoro, nessuno mi paga per farlo in suo favore o contro qualcun altro, non ne ricavo alcun tipo di utile se non la gratificazione di avere un Direttore che ospita sul suo giornale il mio pensiero, sapendo che se cento persone lo condividono, mille potrebbero scrivere l’esatto contrario.
La conversazione con l’amico di cui parlavo sopra, si è conclusa con la certezza mia, e la speranza sua, di potergli un giorno telefonare dicendogli “Visto? ti eri sbagliato su tutti i fronti, e avevo ragione io”.
Non posso rinunciarci, a questa speranza.
Non voglio neppure prenderla in considerazione, l’idea di essermi sbagliata.
Ho conosciuto, in questo mondo schifoso, una persona integerrima.
In quella persona confido, in quella credo, per quella persona continuerò a scrivere.