di Alessandro D’Orazio
La divulgazione del rapporto trimestrale della Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI) ha messo in luce considerazioni particolarmente dibattute, a cominciare dalla definizione dell’attuale congiuntura economica mondiale quale “evento non isolato”. Nello specifico lo shock dei mercati, come ribadito all’interno dello stesso report, “non è stato il primo e non sarà l’ultimo. È stato semplicemente un nuovo ostacolo nello stretto cammino verso la normalizzazione della politica monetaria”.
Per ciò che concerne la situazione nel nostro Paese, invece, le tensioni politiche ed “il peggioramento delle prospettive, già fragili, delle condizioni di bilancio dell’Italia, in seguito al braccio di ferro tra la Commissione europea e il governo nazionale” sarebbero alla base dell’aumento dello spread fra Btp e Bund delle scorse settimane.
Inoltre la Bri ribadisce come “ci siano segnali che gli investitori stanno percependo un aumento di una eventuale ridenominazione del debito sovrano italiano”, che tradotto in parole povere significherebbe uscita dall’euro. Come è noto, infatti, i maggiori rischi per la stabilità finanziaria nostrana deriverebbero dalla bassa crescita e dall’alto debito pubblico.
La Bri, quale organizzazione internazionale con sede sociale a Basilea, ha il principale obiettivo di promuovere la cooperazione tra la banche centrali e al contempo di fornire specifici servizi finanziari in qualità di “banca delle banche centrali”. In buona sostanza l’istituto in questione funge da banca centrale per le banche centrali che, nel mondo, sono azioniste della Bri stessa, oltre a rivestire la funzione di agente o mandataria nei pagamenti internazionali che le vengono affidati.
Nonostante la considerevole opinione espressa, è tuttavia sempre più manifestamente dirompente il grido di rivendicazione di milioni di cittadini circa la marginalità dei celati meccanismi che muovono la grande finanza internazionale. In particolare queste dinamiche possono influire di molto sulle condizioni sociali degli individui, senza però operare un coinvolgimento diretto nelle scelte di volta in volta adottate.
Ciò è dovuto, in linea di principio, all’abnorme distanza da quel cuore pulsante di una economia aggressiva, troppo lontana dalle esigenze della quotidianità. Quella stessa economia tristemente studiata per liberare alcuni dal sudore della fatica e per appesantire invece altri dell’angoscia del giorno dopo, avrebbe esclamato qualcuno. Ma a queste e ad altre similari considerazioni sarebbe opportuno ribattere con una maggiore chiarezza di contenuti, seguendo allo stesso tempo i dettami di un’etica di responsabilità professionale (compito quanto mai arduo) da parte di molti operatori del settore.