di Alessandro D’Orazio
La clamorosa decisione del sindaco di Palermo Leoluca Orlando di sospendere nel suo comune l’applicazione del decreto sicurezza, ordinando ai dirigenti dell’anagrafe di continuare a iscrivere nel registro dei residenti i migranti con regolare permesso di soggiorno, sta causando in queste ore un enorme scontro politico che vede irrimediabilmente coinvolto anche il ministro dell’Interno Matteo Salvini, ispiratore dello stesso provvedimento.
In particolare Orlando ha dichiarato alla stampa: “Siamo davanti ad un provvedimento criminogeno: ci sono migliaia, decine di migliaia di persone che oggi risiedono legalmente in Italia, pagano le tasse, versano contributi all’INPS e fra qualche settimana o mese saranno senza documenti e quindi illegali. Questo significa incentivare la criminalità, non combatterla o prevenirla”.
Subito dopo il proferimento di tali dichiarazioni, al sindaco di Palermo si sono associati altri primi cittadini, tra cui De Magistris (“Napoli non applica norme contro la Costituzione”), Nardella (“Firenze non si piega al ricatto”) e Pizzarotti, amministratore della città di Parma (“il decreto Salvini lascia aperto un vulnus”). Ma la reazione del ministro Salvini non si è fatta certamente attendere e con una lapidaria frase postata sui social ha ribadito la sua linea: “Con tutti i problemi che ci sono a Palermo, il sindaco sinistro pensa a fare ‘disobbedienza’ sugli immigrati…”.
A dirla tutta, i dubbi sollevati dai sindaci circa la costituzionalità del provvedimento non paiono assurgere a veri motivi fondanti di uno scontro meramente politico e che giurisprudenzialmente parlando offre invece ben poche interpretazioni. “E’ un atto politico. I Comuni sono tenuti a uniformarsi alle leggi”, ha dichiarato il presidente emerito della Corte Costituzionale Cesare Mirabelli, il quale ha di fatto smantellato l’opinione degli amministratori locali contro la norma del decreto sicurezza che vieta la possibilità di concedere la residenza a chi è in possesso di un permesso di soggiorno. Parole simili nel contenuto sono state confermate da un altro ex presidente della Corte Costituzionale, Giovanni Maria Flick: “Non spetta al sindaco decidere di sospendere l’applicazione di una legge se la ritiene incostituzionale ma ricorrere all’autorità giudiziaria per chiedere che ne verifichi l’applicabilità e nel caso l’autorità giudiziaria ne investe la Corte costituzionale”.
A questo punto non sembrerebbe opportuno innescare ulteriori tizzoni nei contenuti di una questione per certo politicamente delicata, ma che nella forma è divampata probabilmente in un dannoso incendio.