di Alessandro D’Orazio – photographer Pierpaolo Mittica
L’11 marzo 2011 uno tsunami seguito da un violentissimo terremoto provocava la fusione dei tre reattori della centrale nucleare Tepco di Daiichi. Un disastro senza precedenti in grado di sprigionare, anche al di fuori del Giappone, una quantità di radiazioni pro capite pari a quella somministrata da una radiografia.
Ma al di là di questo dato, a Fukushima le radiazioni emesse dall’edificio del reattore 2 sono state elevatissime. Gli effetti del disastro su piante e animali sono stati di conseguenza evidenti. Nel corso degli ultimi anni gli esperti si sono soffermati sulla misurazione della diffusione degli isotopi di cesio radioattivo: il cesio-137 in particolare è un elemento pesante che viaggia su lunghe distanze e si dissolve in acqua; e dalle analisi condotte si è scoperto che il 23% di questa sostanza, liberata dall’esplosione del 2011, è rimasta in Giappone, mentre il resto si è diffuso negli oceani.
Per gli abitanti delle aree più prossime alla centrale di Fukushima, i livelli di radiazioni si sono attestati tra 1 e 5 millisievert solo nei primi 3 mesi. Dal momento della catastrofe emersero poi forti preoccupazioni sulla possibilità di mangiare pesci contaminati; non solo quelli costieri dell’area intorno Fukushima (la cui contaminzione è stata più volte accertata), ma anche quelli pescati in tutto il Pacifico, che finiscono sulle tavole asiatiche e americane e che vengono importati anche in Europa.
A ben vedere però, vari studi condotti da ricercatori statunitensi e giapponesi, hanno dimostrato che queste preoccupazioni sono risultate eccessive, almeno per quanto riguarda il consumo di carne di grossi pesci migratori, come il tonno, il pesce spada e gli squali. Tuttavia gli effetti collaterali che ancora oggi sta pagando il nostro ecosistema sono molteplici, a cominciare dalla distruzione e/o modificazione di gran parte della fauna e flora dei luoghi prossimi all’incidente.
Salvaguardare l’habitat che ci circonda dovrebbe essere uno dei principi cardine a cui l’uomo moderno dovrebbe ispirarsi, sebbene questa considerazione venga spesso dimenticata. Ripartire dunque dalla sciagura di Fukushima per evitare che catastrofi simili non avvengano mai più dovrà essere un monito da trasmettere soprattutto alle nuove generazioni, alle quali verrà consegnata una scomoda eredità frutto delle innumerevoli decisioni errate in materia ambientale. E che possa presto avvenire un cambio di rotta in tal senso lo speriamo tutti.