di Rosario Pesce
Politica e società civile sono un po’ come il gatto ed il cane: sono certamente antagonisti, ma a volte si cercano e costruiscono una relazione proficua.
Fuor di metafora, questi due ambiti del consesso sociale sono la guida delle istituzioni e, senza un rapporto virtuoso fra l’uno e l’altro, si rischia di andare in cortocircuito.
A volte, peraltro, è utilissimo che le migliori espressioni della società civile, abbandonando paure preconcette, si candidino a divenire ceto politico, visto che questo non può che trarre un beneficio importante dalle occasioni di innovazione che, ciclicamente, tornano.
Sarebbe, infatti, deleterio se la società civile si chiudesse nel suo paradiso terrestre, così come è molto pericoloso un atteggiamento di autoreferenzialità da parte della rappresentanza politica, perché un simile comportamento scellerato non potrebbe che preannunciare la fine della stessa idea di democrazia rappresentativa.
Inoltre, come insegnava Machiavelli, è l’occasione che crea il Principe.
In tal senso, esistono contingenze storiche nelle quali ceto politico e ceto dirigente devono procedere separatamente ed altri momenti, invece, nei quali le due dimensioni devono contaminarsi, per salvaguardare le ragioni stesse di una società solidale ed armonica.
Ma, non sempre le incursioni della società civile nella politica sono gradite a chi fa politica per mestiere.
Peraltro, il concetto di professione, in riferimento alla politica, può essere giustamente valorizzato solo in una cornice protestante di tipo weberiano, intendendo per professionalizzazione della politica la ricerca delle motivazioni trascendenti che spingono ciascuno di noi ad anteporre il bene comune a quello strettamente individuale.
D’altronde, quando poi la politica ha cercato di ridimensionare la portata innovatrice della società civile, due sono stati gli esiti, entrambi non felici: la piazza clamante e/o le aule dei tribunali, visto che il rinnovamento deve – comunque – avvenire.
Forse, non solo il nostro Paese, ma l’intera Europa ha bisogno di una portata innovatrice, di un vento nuovo che spiri e riesca a creare, poi, la premessa giusta per rimettere in connessione il popolo con le istituzioni rappresentative?
Certo è che l’inizio del nuovo millennio pone quesiti che, già, i secoli precedenti si sono posti: forse, questa volta sarà diversa la risposta?