di Maura Messina
Incontriamo lo scrittore avellinese Gianluca Spera dopo aver letto la sua ultima creazione letteraria che sovverte gli schemi. Cito un estratto che annienta persino il concetto d’amore: “Credi alla follia di Fabrizio Orlando e alla gelosia del compagno della donna ammazzata? Pensi che esistano ancora i delitti d’onore? Oggi si ammazza solo per interesse, soldi, potere. Solo nei libri si uccide ancora per amore. Nella vita reale l’amore muore per cause naturali o si suicida prima di ammalarsi”.
Di queste visioni atipiche ne parliamo con l’autore, classe ’78, attraversando le pagine dell’opera:
Come nasce “Il massacro di San Silvestro”?
Questo romanzo è lo spin-off del mio primo libro, “Delitto di una notte di mezza estate”, anche esso pubblicato da Ad est dell’equatore. La storia è chiaramente ispirata all’omicidio di Simonetta Cesaroni avvenuto a Roma nell’agosto del 1990 anche se cambia il contesto, da Via Poma la scena è trasferita al Vomero, nella panoramica via Aniello Falcone. Inoltre, mi sono concesso una certa libertà nel senso che lo sviluppo narrativo alterna vicende reali a fatti inventati. I delitti irrisolti rappresentano lo strumento ideale per raccontare lo sfondo politico, storico e sociale di un Paese senza avere, però, la pretesa di fornire la soluzione del caso. Anche se un grande scrittore come Veraldi sosteneva che, molto spesso, la finzione supera di gran lunga la realtà.
Il libro è ambientato per lo più a Napoli, una scelta che determina fortemente la caratterizzazione dei personaggi.
Napoli è una città complessa, contraddittoria e anche eterogenea, nella quale convivono livelli sociali del tutto differenti che, molto spesso, entrano in conflitto. Per cui, la narrazione troppo stereotipata, quella che oscilla tra l’oleografia e il romanzo criminale, rischia di descrivere solo una parte del tutto o, addirittura, di essere fuorviante. È compito di chi osserva la realtà tracciare un sentiero mediano tra questi due poli estremi, cogliere le sfumature, indicare le zone grigie in cui bene e male si confondono.
In questo senso, libri come Malacqua di Pugliese, Il mare non bagna Napoli della Ortese o Napoli ’44 di Norman Lewis, sono paradigmatici per come hanno saputo intercettare la realtà partenopea senza compromessi o ruffianerie. Questi scrittori sono stati bravi a mantenere la giusta distanza, a non lasciarsi irretire dalla narrazione classica. A volte, il rapporto viscerale con la città può essere controproducente. Bisogna assumere una posizione di distacco e descrivere la realtà per come si presentano. Altrimenti, Napoli diventa il più banale dei luoghi comuni.
Qual è il tuo legame con la città partenopea?
Come tutte le grandi passioni, il mio rapporto con Napoli è caratterizzato da momenti di amore e “odio”. Nel senso che la città coinvolge talmente tanto che, a un certo punto, si corre il rischio di essere risucchiati dai suoi meccanismi o anche dalle sue perversioni. Per cui, periodicamente, si avverte la necessità di evadere dalla routine, di sottrarsi a un destino che sembra cristallizzato. Viene in mente la celebre frase di La Capria: Napoli è una città che ti ferisce a morte o t’addormenta, o tutte e due le cose. Perciò, nella mia storia, ci sono continue fughe: da Marsiglia fino a Londra, passando per Parigi e la Costa Azzurra.
Tra i personaggi de “Il massacro di San Silvestro”, quale preferisci e perché?
Teresa Ammaturo, la protagonista, è il personaggio a cui sono più affezionato per l’enorme capacità di resistere a tutte le cose brutte che le capitano nel corso della storia. È davvero un baluardo, una donna ostinata che non si piega alla violenza che domina il mondo. Troverà sempre un motivo per sopravvivere anche di fronte al dolore più grande. Poi, è una napoletana atipica. Proviene da un quartiere popolare ma detesta i modi grossolani, la volgarità e non si lascia mai andare al vittimismo o alla sceneggiata.
C’è uno dei personaggi nel quale è possibile scorgere “una parte di te”?
Direi che sia “il Delitto” che “il Massacro” non sono testi autobiografici. Certo, in alcuni punti, emerge la mia passione calcistica o i miei gusti letterari/musicali. In ogni caso, se c’è un personaggio in cui mi riconosco è Fabrizio Orlando, il giornalista che con le sue intuizioni fa iniziare l’indagine sull’omicidio di Nicoletta Ammaturo. La curiosità e l’idealismo sono tratti che ci accomunano. Per il resto, siamo molto diversi.
Qual è il messaggio, se c’è uno in particolare, che vorresti trasmettere con la tua opera?
Più che un messaggio, era mia intenzione scrivere un noir atipico. Senza commissari, ispettori o poliziotti. Possiamo dire che, parallelamente al delitto che poi scatena il massacro, avviene anche la distruzione di tutti gli stereotipi della giallista classica. E di questo secondo “crimine” è colpevole solo l’autore!
Poi, al di là di questo, volevo descrivere l’evoluzione storica che si è avuta dal momento in cui è terminata la guerra fredda fino ad arrivare alle derive autoritarie e populiste attuali con la predominanza dell’imperialismo russo che vuol imporre un nuovo ordine mondiale.
E adesso tre consigli che daresti a chi vuol iniziare a scrivere.
Uno: leggere molto prima di mettersi a scrivere. Due: leggere opere di qualità. Tre: non ascoltare nessun consiglio. Scrivere è una questione di talento. Perciò si legge: per affinare le tecniche e allargare gli orizzonti. Ma, poi, di fronte al foglio bianco, occorre sentire dentro il fuoco sacro. Come suggeriva Bukowski: se non senti bruciare le viscere, è meglio lasciar perdere.
La tua passione per la scrittura invece com’è nata?
Probabilmente, dal desiderio di raccontare il mondo da una prospettiva diversa o anche dalla necessità di far emergere storie dimenticate o le vite di personaggi in qualche modo irregolari. Forse, è proprio questo il ruolo supremo della letteratura: recuperare storie che sono state seppellite da qualche parte e trasformarle in romanzi.
Per contattare e/o seguire l’autore:
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Intervista a cura di Maura Messina
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