di Gianluca Spera
Angelo Petrella ci ha abituati a sorprenderci, spaziando tra le epoche e la storia, catapultandoci da Tangentopoli alla guerra all’Isis passando per la Pompei antica. Ora che ha scelto di intraprendere una serie, adesso che poteva risultare prevedibile, è stato capace di sfornare un romanzo insolito, coinvolgente e non convenzionale.
La notte non esiste (Marsilio editore), il secondo capitolo della saga dell’ispettore Denis Carbone è armonioso come una rapsodia, devastante come un concerto dei Metallica al conservatorio, dolente come un blues malinconico.
In questo capitolo della serie, al di là della indagine della quale è preferibile non anticipare nulla per non rovinare il piacere della lettura, si innesta prepotentemente il lato introspettivo del protagonista, rincorso dai demoni del passato, dai rimorsi del presente e dagli incubi notturni.
Condannato alla solitudine che riempie con le repliche dei tornei di tennis femminile che guarda all’interno nei peggiori bar del litorale domizio-flegreo e il jazz che ascolta alla radio durante le sue scorribande notturne, Carbone si sente votato alla sconfitta ma non si rassegna al disonore. Lotta per lenire i suoi sensi di colpa ed esorcizzare la sofferenza che divora l’anima e la città in cui vive e si trascina.
Un posto di confine, dove il degrado inghiotte anche i quartieri più nobili e la linea di demarcazione tra la Napoli dei ricchi e quella dei dannati è sempre più sottile. Ed è proprio all’umanità relegata nelle periferie più inospitali, quell’umanità randagia e stuprata, costretta a fuggire dalle terre natali e discriminata da politici spregiudicati a caccia di consensi, che l’autore rivolge il suo sguardo tagliente come un vigoroso atto di denuncia verso l’indifferenza e il cinismo imperante.
In questo contesto così ben delineato, Petrella riesce a recuperare luoghi dimenticati, quasi abbandonati, in cui il disordine edilizio cede il passo a scenari bucolici impensabili all’interno di una metropoli caotica come Napoli, quasi a rappresentare una forma di resistenza al progresso più aggressivo e minaccioso.
In uno di questi spazi si svolge l’atto finale di questo romanzo, in un territorio inesplorato ai margini dell’alta Irpinia in cui Carbone comprenderà la consistenza e la pericolosità del nemico che si trova di fronte e riuscirà in parte a domare le belve feroci che tormentano i suoi ricordi.
Esattamente come un concerto rock, il romanzo, sostenuto da una scrittura potente e da una prosa brillante, si chiude con i fuochi d’artificio che scandiscono già l’attesa per il terzo capitolo della serie.