di Alessandro D’Orazio
In questi giorni convulsi e gravi per tutti, medici e sanitari sono stati chiamati a profondere sforzi inauditi. Il prezzo pagato per questo impegno è stato però enorme: ben il 12% dei cittadini positivi al coronavirus è rappresentato da personale sanitario e si rischia la chiusura di interi reparti nel caso di contagio. Intanto gli ospedali si stanno riempiendo di pazienti con Covid-19. Il Paese non ha bisogno di eroi né di martiri. Ha bisogno di medici che lavorino: con passione, con sacrificio, con fatica. Ma in sicurezza.
L’attenzione alla sanità nel corso degli ultimi anni è stata tuttavia opposta. Il nostro Paese ha dimezzato i posti letto per i casi acuti e la terapia intensiva, i quali sono passati da 575 ogni 100mila abitanti ai 275 attuali. Un taglio del 51% operato progressivamente dal 1997 al 2015, che ci porta in fondo alla classifica europea (in testa è la Germania con 621 posti). La sanità pubblica nazionale ha perso inoltre, tra il 2009 e il 2017, più di 46 mila unità di personale dipendente. Oltre 8.000 medici e più di 13mila infermieri; cifre che da sole possono far comprendere come gli ospedali e i pronto soccorso potrebbero non essere in grado di reggere la diffusione dell’epidemia.
Globalmente, la spesa sanitaria sostenuta dallo Stato italiano, nel 2017, è stata pari al 6,6% del Pil. Valore inferiore di circa tre punti percentuali a quella in Germania (9,6%) e Francia (9,5%), di un punto percentuale rispetto al Regno Unito. Anche l’indicatore della spesa pro capite mostra il sottodimensionamento relativo di quella italiana. Nel 2017 la spesa pubblica italiana è stata pari a 2.622 dollari, ossia inferiore del 35% a quella francese (4.068 dollari) e del 45% a quella tedesca (4.869 dollari).
Oltre ai dati finora esposti, va evidenziato quanto ancora grande sia il divario sanitario tra regioni dell’Italia settentrionale e meridionale. Nel 2017 ad esempio, il 42% del totale delle risorse finanziarie per la sanità è stato assorbito dalle regioni del Nord. Mentre il 20% è andato a quelle del Centro, il 23% al Sud, il 15% alle autonomie speciali.
Secondo l’Associazione Salute Diritto Fondamentale, solo per mettere in sicurezza gli ospedali e le strutture sanitarie territoriali, nelle zone ad alto rischio sismico, occorrerà stanziare almeno 32 miliardi e tanti altri ne dovranno essere impiegati per sopperire alle carenze di dotazioni di macchinari e di personale. In conclusione, lo abbiamo compreso tutti: c’è bisogno di maggiori investimenti, non di martiri o eroi.