di Rosario Pesce
È evidente che, in molti momenti della crisi sanitaria, le Regioni e lo Stato centrale non hanno sempre suonato il medesimo spartito, per cui – complice il titolo V della Costituzione – le Regioni hanno assunto deliberazioni che andavano in un senso diverso da quello dei decreti del Governo.
Si dirà che ciò è possibile con l’attuale Costituzione e che è inesorabile che, di fronte a contingenze differenti ed interessi non sempre convergenti, ogni Governo regionale in modo legittimo decida di percorrere la strada che ritiene più congeniale a sé.
È, però, altrettanto ovvio che in modo plastico, nel corso di questi due mesi di quarantena, i Governi regionali e quello nazionale non hanno nascosto i propri reciproci dissensi, per cui in maniera plateale si sono avvertiti gli effetti di un regionalismo che, nel nostro Paese, si è compiuto per effetto della riforma del 2001.
Ed, allora, alla luce dei fatti degli ultimi due mesi e di quelli che ancora si consumeranno nelle prossime settimane, dobbiamo desumere che, effettivamente, molti ed importanti sono gli spazi di sovranità che le istituzioni centrali hanno ceduto alle Giunte regionali?
Forse, questo dato di fatto costituisce un elemento positivo, visto che non si riesce ad armonizzare la disciplina giuridica sull’intero territorio nazionale?
O, forse, gli eventi legati al Covid hanno messo gli Italiani di fronte ad una scissione, di fatto, dell’Italia?
D’altronde, la materia sanitaria, per sua definizione, è competenza regionale per cui le problematiche relative al contagio hanno amplificato ancora di più i poteri e le competenze delle Regioni.
E, quindi, visti gli esiti finora dell’emergenza, si può ricavare che il regionalismo sia stato una manna dal cielo per noi Italiani oppure si sente la mancanza di uno Stato centrale che sia autorevole e non sottomesso ai poteri locali?
I quesiti non mancano; d’altronde, la proposta di riforma costituzionale di Renzi di qualche anno fa prevedeva che le competenze sanitarie tornassero allo Stato, togliendo così alle Regioni ciò che rappresenta circa i tre quarti del loro budget.
Certo, qualche partito non potrà più gridare “Roma, ladrona”, ma la sorte ha voluto, per un probabile processo di nemesi, che i principali fallimenti nella lotta contro il Covid si realizzassero proprio nelle regioni governate da chi ha voluto il federalismo con più forza degli altri.
Forse, nei prossimi anni si continuerà a ragionare sul Titolo V della Costituzione, ma molto probabilmente con intenzioni differenti rispetto a quelle del legislatore dell’ultimo ventennio.