di Pasquale Lucchese
Stagione anomala e dai tratti surreali. Rosee le aspettative dimaresi. Altalenante la partenza: saliscendi vittorioso di emozioni a Firenze e un infame autorete dal sapore di Cassandra nella parentesi agostana. In 4 giorni cadono al San Paolo, i campioni d’Europa del Liverpool e il Doria; il Lecce è superato in scioltezza a casa sua, prima dell’infausto mercoledì vs il Cagliari.
Il ceffone incassato dai sardi lascia il segno, accentuando e allargando pericolose crepe già presenti nel magma azzurro; il percorso inizia a balbettare: si battono soffrendo Brescia ed Hellas, si pareggia a Torino, Ferrara e Genk, il successo a Salisburgo è illusorio e falso come l’abbraccio collettivo che segue la rete vittoriosa. Il ‘furto’ casalingo subìto vs l’Atalanta è il decisivo spartiacque: la situazione in classifica e nello spogliatoio precipita, trovando il culmine nella indegna, e mai dimenticata, serata dell’ammutinamento.
Tre punti in sei match, una spaventosa media retrocessione con un San Paolo terra di conquista per Bologna e Parma. L’esonero giunge dopo il poker inflitto ai belgi del Genk che vale il superamento del girone Champions, unica fittizia e amara ‘gioia’ di uno squarcio di annata che definire allucinante, triste e inaspettata è poco. Una vita fa, eppure eravamo solo a dicembre, mese che si chiude con i tre punti insperati, un pizzico fortunati e caparbi di Sassuolo. Gennaio e l’anno nuovo non cambiano il trend: Inter, Lazio e Fiorentina passeggiano sui resti di ciò che fu una squadra. I sussulti arrivano in Coppa Italia, eliminate Perugia e Lazio; si cerca e si trova una (ri)scossa vs Juve e a Genova sponda blucerchiata. Si inciampa sul Lecce e sull’arbitro Giua, ma la rotta sembra finalmente mutare: luci azzurre a San Siro nell’andata dei quarti di Coppa Italia, Cagliari e Brescia sconfitte a domicilio, pari interno vs il Barcellona il 25 febbraio nell’andata degli ottavi di Champions e il 2-1 inflitto al Torino.
Poi il buio, lo stop, il calcio e il Napoli d’un tratto non rappresentano che un ricordo in un presente immobile e astratto. Una stagione “balorda”, dai tratti angoscianti anche sulle gradinate, con il tifo e il cuore delle curve assenti in più di un’occasione, che rischiava di concludersi in una sorta di buco nero. Tre mesi senza pallone, e ancor più senza il Napoli, difficili da decifrare e raccontare, anche e ancor più per chi vive di calcio e ancor più di Azzurro. Una (non) vita fa. Poi è storia recentissima. Il calcio deve e può ripartire, e lo fa con la Coppa Italia che funge da apripista per il campionato.
Ci sono i ritorni delle due semifinali e la finale da disputare. Il Napoli, lo stesso delle rosee aspettative estive, dell’inizio altalenante e del crollo in classifica, delle agrodolci serate europee, dell’ammutinamento e dell’esonero e di un 2020 partito male ma poi in stato di apparente “raddrizzamento” prima del virus e del blocco, mostra cinismo e, senza tifosi, butta fuori l’Inter, guadagnandosi l’ultimo atto in un Olimpico vuoto. Il Napoli ci mette dedizione, attenzione, concentrazione e meriterebbe il titolo nei 90 minuti, ma in una stagione simile sarebbe ‘banale’ anche vincere la Coppa all’ultimo secondo, l’intramontabile Buffon e il (secondo) palo della serata salvano i sabaudi; meglio vincerla ai rigori, come a Doha. Dybala si fa ipnotizzare, Danilo emula il Pereyra di Doha, la lotteria è segnata, anche perché i nostri fanno quattro su quattro. La Coppa Italia è nostra.
Una stagione anomala e “balorda”, dai tratti surreali e angoscianti, con scioperi del tifo e ammutinamento, con l’impensabile e imponderabile blocco lungo tre mesi. Una stagione lunga 12 mesi, e una Coppa Italia, la numero sei della nostra 94’ennale storia, da mettere in bacheca e custodire gelosamente. Il nostro nome è sull’albo d’oro della Coppa Italia.. Il breve e coinciso racconto di questa “prima parte” di stagione termina con una Coppa alzata al cielo mercoledì 17 giugno, da martedì sarà campionato e successivamente sarà la Champions versione agostana (!). Non terminano le pandemiche emozioni e mai cesserà quel maledetto e infinito rapporto con il Napoli, benché messo a dura prova da una stagione anomala e surreale. La lunga e forzata astinenza, il razionale disinteresse verso un calcio sempre e solo più industria/business, un nauseante senso di vuoto e la strana sensazione di non poter esser lì sui gradoni del San Paolo prima e dell’Olimpico poi, eppur la Verità, semplice e scontata, finanche banale, squarcia la Ragione e i calcoli di anima e cervello: l’Azzurro in campo è battito istintivo, è illogica tensione emotiva, è legame primordiale, è gioia e sofferenza, è Tifo, è la cosa più bella che c’è …