di Maria Rusolo
“Oggi, proprio come in passato, i paesi che hanno distrutto il loro ambiente e/o che sono sovrappopolati sono esposti al rischio di sconvolgimenti politici. Quando i cittadini sono disperati, malnutriti e senza speranza incolpano il governo, ritenuto responsabile delle loro miserie o incapace di risolvere i loro problemi. Allora, se non cercano di emigrare a tutti i costi, possono iniziare a combattere per il possesso delle scarse risorse […]. I risultati sono i genocidi […]; le guerre civili e le rivoluzioni […]; l’invio di contingenti militari dal Primo Mondo […]; il tracollo del governo centrale […]; infine, una povertà sconvolgente […]. Dunque, i fattori che meglio spiegano un crollo non sono altro che le conseguenze del degrado ambientale e di forti pressioni demografiche.“
In un momento storico così difficile, la lettura delle opere di Jared Diamond mi ha in qualche modo ispirato delle innocenti e forse banali riflessioni. Siamo circondati dalla banalità del male, che individua nel povero, nell’emarginato, in colui che fugge dalla disperazione ed adesso anche nell’untore tutti gli aspetti negativi di una società sempre più chiusa e sempre più spaventata.
Gli uomini dei Paesi più ricchi e con maggiori garanzie si sentono minacciati e tendono a lasciarsi più facilmente trascinare nelle guerre per l’isolamento del diverso. Di caccia alle streghe sono pieni i libri di storia, in epoche diverse si è sempre nascosta sotto il tappeto la polvere della crisi galoppante, puntando il dito dall’alto di un balcone contro l’anello più debole della catena sociale.
Serve avere un nemico collettivo, serve agli incapaci ed a chi ha bisogno di trattenere le briglie del potere tra le mani, senza concedere spazio, ed in questa logica abbiamo vissuto i lager e le deportazioni, facendo spallucce, e continuiamo oggi a vivere la povertà umana, sociale e culturale come se non ci riguardasse, colmi dell’estasi del momento e storditi dalla musica ad alto volume che cancella ogni pensiero ed ogni riflessione. Ammassati in spazi fisici ridotti, non sappiamo cogliere le sfide che il tempo ci propone, i segnali che da decenni ci giungono da più direzioni, ma in realtà in tutto questo marasma quotidiano in cui nessuna programmazione esiste, nessuna visione politica e gestionale a lungo termine sembra avere un valore, non mi preoccupano i cattivi che provano a diffondere le proprie idiozie, quanto quelli che si definiscono ” buoni” e che si accodano o non alzano la voce, lasciando che tutto scorra inesorabilmente verso il baratro.
E’ già accaduto durante la Seconda Guerra Mondiale, quanti intellettuali erano consapevoli di quello che strisciava sotto la quiete borghese del palazzo, ma hanno preferito rimanere nelle proprie aule universitarie in attesa che il vento cambiasse? Tantissimi, ma non tutti, e quei pochi che hanno deciso di non giurare fedeltà al Partito Fascista hanno cambiato la loro e la nostra storia. Pensate a Leone Ginzburg che nel 1934 pronuncia un NO senza appello, che lo trasformerà in un eroe della resistenza ed in un perseguitato.
Ora qualcuno si chiederà come io sia potuta arrivare sino a questo punto nella mia analisi, ma è tutto talmente evidente che c’è davvero poco da aggiungere. Non siamo capaci di imparare dagli errori del passato, non siamo attenti a quello che accade nel mondo, e guardiamo le cose sempre e soltanto con la lente dell’individualismo, senza soffermarci su un dato incontrovertibile, che gli altri in fondo, in un certo momento potremmo essere noi. Continuo a battere sugli stessi tasti anche in maniera rabbiosa, a volte, proprio perché sento che la storia ci sta già presentando un conto troppo salato da sostenere e che è ora il momento di gridare con quanto fiato abbiamo in gola NO!!!!!
“Viviamo nel tempo del revisionismo, caratterizzato da un pervicace spirito di risentimento rispetto al passato, con intenti demistificatori se non denigratori: la tendenza a disseppellire i morti per ucciderli una seconda volta, a svilire la dignità etica e politica della storia. È una sorta di nichilismo. Ecco, secondo me bisogna abbandonare il risentimento del revisionismo ossessivo e petulante e cercare una forma di sentimento della storia. Cercare nella storia la sua capacità di offrire una visione etica ed epica.”