È già accaduto, accadrà di nuovo e il presente ne è la prova. E non è solo il virus

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di Elio Goka

“Ciò che fanno i sovrani, buono o cattivo, tutti aspiriamo a farlo. Il re gioca? Eccoci tutti proni sul tavolo da gioco. La regina studia? Tutti ci improvvisiamo studenti.”

Juan Ramírez de Lucena, scrittore spagnolo vissuto tra il Quattrocento e gli inizi del Cinquecento

 

 

È stato rinvenuto un malloppo di fogli con sopra appunti e schemi buttati giù alla bell’e meglio. Reca una firma e un simbolo di Stato. Pare sia un decreto presidenziale.

Siamo di nuovo in marzo 2020. Abbiamo invertito il calendario (perdonatemi se mi permetto di ricordare che a pandemia appena scoppiata avevo già scritto che ci eravamo messi a giocare col tempo). Qualcosa si era placato, ma con la previsione in tasca. A tutto questo siamo arrivati coi favori del pronostico. Hanno concorso il peggior sistema politico dal dopoguerra ad oggi (attenzione, non questa classe politica, ma questa tradizione, che dura ormai da quasi trent’anni) e una cittadinanza che non ha saputo affrancarsene una buona volta. Hanno predetto la seconda ondata e noi non abbiamo fatto molto per evitarla. Nemmeno la soddisfazione di smentirli. Un’altra occasione perduta. La storia dell’uomo è lastricata di occasioni perdute.

L’occasione è stata sprecata da chi avrebbe dovuto provvedere ad aumentare, ma ad aumentarlo sul serio, il numero di medici, specialisti e infermieri, posti letto e terapie intensive, tamponi e ogni altro strumento sanitario utile alla popolazione. A fare la prima cosa che andrebbe fatta in questi casi. In queste settimane, dirigenti e operatori del settore hanno manifestato non poco malcontento sulla debolezza del personale. E pensare che di medici e di infermieri ne sono morti tanti. Molti perché immersi fino al collo in una mischia con l’invisibile di cui nessuno conosceva bene la maniera di difendersi. E non ancora non si può essere certi di nulla.

Un governo in maschera si é seduto dietro i banchi a rotelle usando la scuola come arma di propaganda politica. Poco importa se la polarità della strumentalizzazione, da parte di tutti, sia avvenuta negativamente o positivamente. La verità è che della scuola non è mai importato niente quasi a nessuno. Basterebbe ricordare gli anni prima della pandemia. E lo stesso discorso si aggrava in maniera ancora più imbarazzante e criminosa per la sanità. La sanità in Italia ha sempre rappresentato, prima di tutto, una ragione di affari. In seconda battuta, a tempo perso, una di servizio.

Un andirivieni di decreti, provvedimenti, a volte centrali, altre localizzati. È nell’andirivieni che si acclimano l’incapacità, l’inettitudine e la malafede. Troppo spesso, però, a farle prosperare è la malafede. Esiste una forma di imperizia elaborata ad hoc. Ristagna come l’acqua nella palude. Tentennare in apparenza è il peggiore dei comandi, perché ci si avvale dello spirito accondiscendente (la democrazia di rigetto) ma cinicamente inamovibile. Così, da sopportare e da farsi bastare, tutta la flemma dell’acqua della palude.

Tuttavia, le attuali espressioni legislative, sia sul piano contenutistico che linguistico, non devono sorprendere. Andirivieni e incertezze hanno fatto sì che si producesse un intendimento estemporaneo del senso di libertà. Una percezione alterata della disinvoltura ha spinto molte persone a vivere spazi liberi a cottimo. Un godiamoci il momento adesso perché non si sa cosa può accadere ha messo al bando il concetto di libertà inteso come bene solido e inviolabile, anteponendone uno di consumo.

Sono state coltivate, così, parole come repressione, chiusura, sospensione, divieto, imposizione e altri concetti che hanno in sé il paradosso del frangibile e dell’infrangibile. Perché ci sono condizioni che possono pure essere necessarie, ma che risulteranno inevitabilmente inefficaci e traumatiche se non saranno accompagnate da uno stato di necessità in grado di presentarsi credibile e rispettabile non solo perché là fuori c’è qualcosa di pericoloso, ma pure perché chi di dovere ha previsto gli strumenti rassicuranti. Ma non ci si può aspettarli dalla politica. Il chi di dovere non è più la politica. La politica non è più in condizione di risolvere. I partiti, ormai da tempo, hanno iniziato a rassomigliarsi. Tra le cose peggiori che possano capitare alla politica moderna.

Nel sistema di consumo ci è finita pure la sensibilità. Perché alcuni degli imprenditori che in piazza hanno lamentato disagi economici rispetto alle chiusure, sono gli stessi che non rispettano i propri dipendenti, sottopagati e maltrattati sia alla luce di scaltrezze che di autorizzazioni a procedere di leggi che favoriscono lo sfruttamento del lavoro. Non tutti, ovviamente, ma una parte. Quella parte che, come il potere costituito, nella stessa miserabile misura, gerarchizza quelle sensibilità derubricando le altre che non riguardano i propri interessi. Durante e fuori pandemia. E quel martirio delle sensibilità ha dato il là a certe controindicazioni. Pure i menefreghismi, le disubbidienze d’occasione, le arroganze e le presunzioni di chi ha voluto vestire i panni di medico, analista e autorità al tempo stesso, affollando una popolazione di contestatori isterici e disorientati. Ancora una volta, l’improvvisazione del malcontento.

Chissà quali preoccupazioni avranno provato quelli che in silenzio hanno affrontato i guai peggiori. Non solo negli ospedali. Perché ci sono pure persone che questa confusione la vivono in silenzio e con molti guai addosso. Niente a che vedere con gli show squallidi e deliranti dei media che fanno da sfondo a un paesaggio già sufficientemente desolato. Da sempre si muove un’umanità dimessa e silenziosa che non ha voce in capitolo. L’insulto peggiore è credere che lo sfoggio che salta agli occhi sia l’unica realtà possibile.

Si stanno muovendo le leve del dentro fuori, parziale o totale che sia, con troppa leggerezza e disinvoltura, trascurando che lo spazio è un’astrazione psicologicamente relativa, che quando concretizza un’esperienza lo fa secondo condizioni per cui il dentro per alcuni può valere l’inferno e per altri il paradiso, mentre il fuori può essere tanto ragione di respiro quanto di trauma e alterazione.

La parola pandemia ha un’etimologia molto significativa. Generalmente, viene attribuita nella sua accezione epidemica, quindi legata alla diffusione rapida di un virus o di una malattia. Eppure, la sua composizione linguistica originaria significa letteralmente “di tutto il popolo”. Configura il concetto di un fenomeno di un’astrattezza spirituale che riguarda tutti, nessuno escluso. A dispetto di proclami retorici, si tratta di una parola spaventosa che, contrariamente al suo significato corrente, conserva un etimo profondo e universale che dovrebbe indurre addirittura a una forma di rassicurazione. Non esistono fazioni. La barricata è fasulla. C’è un orizzonte cupo e impenetrabile. Si è arrivati all’unica conclusione possibile. Un caos di menzogne e di credibilità. Non quelle dei numeri e delle statistiche, non quelle delle inchieste e dei sospetti, ma quello delle intenzioni.

Non c’è stata nemmeno per un momento la sensazione che qualcuno potesse anche solo lontanamente pensare di sospendere il capitalismo. Al contrario, una sua ostinata e cinica declinazione ha costretto tutto e tutti ad adeguarvisi senza via di scampo. Chi dice che l’economia non può permettersi soste e deroghe, dice una verità di comodo fondata sull’inganno di fondo per cui è un sistema di potere a non poterselo permettere, non l’economia in quanto tale che, a onore di origini, non è la scienza a protezione del danaro, come molti credono, ma è quella che dovrebbe tutelare il benessere delle persone. L’economia non nasce come una legge rigida e inflessibile, ma come un’armonia di idee e di sensibilità in grado di adattare regole e soluzioni a salvaguardia dell’uomo.

Le proteste? Quelle ospitano tutto e tutti, suscitando comprensione e sdegno. Tutto l’apparato dei peggiori patetismi si mette in moto ad approvarle e a condannarle tanto quanto esse stesse si presentino col doppio carico del torto e della ragione, di chi ne prende parte perché ne ha motivo umano e comprensibile e di chi ne fa una partecipazione-innesco in malafede. Anche questa è un’anomalia di quest’epoca. Pure questa, ormai da tempo, funziona secondo quel meccanismo dell’andirivieni. Sarebbe sacrosanto aspettare che tutto passi per arrabbiarsi sul serio invece che affidarsi ogni volta alla cultura del pretesto.

In queste condizioni non c’è soluzione. La soluzione stava nel principio. Un principio completamente diverso avrebbe potuto risparmiare vittime che ancora in questo momento si sommano alle tante già contate. Solo lo scongiurato pericolo avrebbe potuto farci fare esperienza diretta e indiretta di pronti soccorso pieni e occupati come stanze di ricovero, di terapie intensive esaurite e di emergenze sanitarie. Tutto tristemente circondato da spinte insofferenti e diffidenze. Come molto spesso succede per le faccende umane. Non dimentichiamo che discendiamo da una civiltà figlia di uomini costretti a sfilare davanti a mucchi di ossa per credere che l’orrore fosse una possibilità in luogo di quell’umano ingannevole e mistificatore pur di nasconderlo anche alla luce del sole. E quella fila di persone ancora cammina, lentamente, senza che quella lenta e macabra processione basti a dimostrare il vero.

Quanti dopo dovremo ancora sopportare per apprendere l’importanza del prima? Un grande assorbimento chiuderà la terra sopra le tragedie di questa esperienza. Una tragedia che non è soltanto il virus in sé, e non è se esso provenga da un matraccio o da un animale. La tragedia è nel fatto che a restarne colpito sia stato l’uomo.

E allora sapete qual è la cosa che più mi mette i brividi? Accade ogni volta che spunta la notizia di una morte sorprendente – non neghiamolo, esistono morti più sorprendenti di altre – di una persona più giovane o che era stata sana fino al momento del contagio, al riparo da rischi imminenti e sollevato dal fatto che non è toccato a me, mi soffermo sul privilegio di fondo che la buona sorte ha riservato in dote a molti di noi. Quello di vivere in una condizione per cui spesso il peso della sopravvivenza non ci costringe a dolori e a privazioni, che passa lieve e impercettibile col senso del vivere, che una protezione di cui non conosciamo bene le origini scherma la disattenzione alle altrui sventure velando la nostra sopportazione in un alone di serenità che troppo facilmente si abbandona all’inquietudine. E il nostro sistema immunitario interiore cede a sconforti talvolta frivoli e insignificanti. Ecco, questa è la cosa che più di tutte ha il diritto di mortificarmi. A me, che non sono stato costretto a sfilare davanti a mucchi di ossa, ma non per questo posso avere il diritto di non credere che mille altre tragedia ne accumulino altri.

Qualcuno ha provato a sfogliare il malloppo, a leggere quelle carte. Sull’ultima c’è un disegno con frecce e riquadri. Gli scienziati lo chiamano diagramma di flusso. Detta tempi e previsioni. Eppure, a ben guardarlo, traccia qualcosa che non promette di finire.

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