di Mario Aiello
Oggi, 21 Dicembre, Frank Zappa avrebbe spento ottanta candeline tonde tonde. Purtroppo il cancro se l’è portato via all’età di cinquantatré anni, il giorno 4 dello stesso mese nel 1993. Finito l’uomo, al mondo e ai posteri è rimasto il mito, la leggenda.
Accomunare Mozart e Frank Zappa non è un’eresia: idoli di stravaganza e genio allo stato puro. La storia ha però riservato trattamenti diversi all’uno e all’altro.
Di Frank Vincent Zappa attualmente se ne sente parlare troppo poco. Affievolito il pesantissimo retaggio post mortem, dopo quasi sei lustri, solo una ristretta cerchia di veri appassionati e musicisti dal grande bagaglio culturale continuano a comprendere (e divulgare) a pieno l’immensità artistica di uno dei pochissimi stravaganti della musica. Stefano Bollani, nel Belpaese, è stato forse l’unico tra gli italiani a rendergli il giusto tributo con approfondimenti di studio e performance riadattate al pianoforte, o comunque in quartetto orchestrale. Ben lontano dalla formula Rock tipica del musicista statunitense costituita da più tastiere/organi, chitarre elettriche, vibrafono, trombe, nacchere, svariati componenti ritmici (batterie, percussioni) e così via.
L’unico paragone possibile in tema di stravaganza che mi sovviene su due piedi, con le dovute differenze del caso, è Mozart. Bisogna riavvolgere il cronometro di duecento anni però. Qui, inoltre, si chiuderebbe il cerchio ideologico con il pianista di estrazione classica (ma di fiuto ultramoderno) Bollani. Riuscire a comunicare propriamente il valore di tale accostamento è un’impresa, ma il tentativo va comunque affrontato. Che Mozart sia un immenso della storia della musica mondiale è chiaro anche a chi non sa di sapere a memoria più e più creazioni del compositore austriaco. Per Zappa è diverso e non si può spiegare, si può solo viverlo inconsciamente. Ecco perché diventa complesso spiegare l’analogia tra i due.
Partiamo da un presupposto, si sottolinei che “stravagante” significa essere possessori di una dote rarissima, diametralmente opposta al concetto puerile e visivo a cui facciamo riferimento ai giorni nostri: nessuna mise eccentrica, nessun comportamento sopra le righe, nessun eccesso di droghe e quant’altro. L’originalità di Frank Zappa, e pochi come lui, è tutta nelle idee e di come queste prendono vita sotto forma di arte.
Un po’ della verve di Frank Zappa ha trovato ottimi interpreti in Italia, ma sono tanti i musicisti che hanno tratto beneficio dal suo lascito intellettuale. Peccato che le nuovissime generazioni ne siano completamente a digiuno.
Le nuove generazioni non hanno idea di chi sia Frank Zappa e cosa con la sua morte è andato irrimediabilmente perduto, eppure, non avendo lasciato veri e propri tormentoni Pop (intesi quali assemblaggi sapienti di melodie che trapano i lobi frontali degli ascoltatori), ha comunque prodotto decine e decine di album, sia in vita che a lui postumi (ai quali non credo avrebbe mai dato il beneplacito), che ancora oggi continuano ad influenzare l’approccio delle masse al tema musicale nella sua totalità. Banalmente, guardando ancora verso lo stivale, gli Elio e le Storie Tese forse non avrebbero fatto ciò che hanno fatto senza lasciarsi ispirare dal faro luminoso che fu Zappa in tal senso. Ad esempio, loro, ci hanno costruito su un impero.
Ebbene sì, la verve demenziale (o finta tale) tendente all’assurdo è stata con ogni probabilità inventata dal wild mustache di Baltimora. Accompagnare testi irriverenti a cervellotiche composizioni armoniche e ritmiche, pure è farina del suo sacco. E non stiamo nemmeno accennando all’infinita critica sociale contro la “bieca morale americana” di cui è costellata gran parte della sua opera. Se la lista dei suoi album in studio e live è quasi interminabile, quella dei grandi musicisti con cui ha collaborato è praticamente infinita. Trasversale la natura degli stessi, rappresentando allo stesso tempo più generi musicali. Ne voglio ricordare solo due, per puro piacere personale: Steve Vai, a cavallo tra gli anni settanta e ottanta; Terry Bozzio, dal ‘75 al ‘78 circa.
Uno diventerà uno dei più talentuosi e conosciuti guitar hero del ventesimo secolo. Probabilmente il primo a portare il virtuosismo chitarristico all’interno di una concezione musicale più ampia e ricca di contaminazioni. Non il contrario, che fino a quel momento era semplice norma. Indovinate da chi ha preso l’idea? È lo stesso Steve Vai a ringraziare più e più volte gli insegnamenti di Frank Zappa, oltre alla grande opportunità di crescita personale ed artistica avvenuta negli anni in tournée. Per il batterista Terry Bozzio, seppur con minore risonanza, valgono le stesse argomentazioni. Li accomuna una predisposizione alla modernità. Il chiaro segno caratteristico di una mente aperta. Rendiamoci conto che Frank Zappa ha fatto “rivoluzione musicale” negli anni ‘70.
All’epoca era inconcepibile pronunciare termini a sfondo sessuale, nemmeno in modo allusivo e, strumenti alla mano, nessuno nel grande pubblico aveva ben chiaro cosa fossero dissonanze, crossover e tempi irregolari.
Chi fu il genio dietro gli enormi baffi?
Frank Zappa prima che un grande compositore, musicista, cantante e autore, è stato un visionario intellettuale. Riluttante alla morale religiosa e, più in generale, diffidente nei confronti di qualsiasi catena tradizionalistica. L’enorme “cultura umana” di cui disponeva ha sicuramente trovato terreno fertile nei suoi natali ramificati, oltre che nella vita nomade in giro per gli stati uniti. Nonostante non abbia conseguito profondi studi, la sua formazione proviene tutta dall’inclusione culturale personale, sviluppata negli anni da musicista e amante delle arti. Nasce su suolo americano in Alabama il giorno del solstizio d’inverno del ‘40, figlio di padre italiano e madre francese.
Nel tempo si è discusso spesso di antenati greci e radici addirittura turche, d’altronde non sono mai state fornite reali prove documentali per avallarne l’ipotesi. Tuttavia la sua musica ha saputo fare di più, facendo sbocciare semi in qualsiasi genere, anche storico, ai quali si è affacciato abbattendo barriere geografiche e intellettuali: Jazz, Progressive, Fusion, Rock, Blues, Funk, Musica Classica e Folkloristica, fino alla Musica Satirica e “Demenziale”, appunto.
Frank Zappa è stato praticamente aperto ad ogni tipo di influenza, rimescolandone crismi e regole basilari, producendo non di rado vere e proprie “suite armoniche” contenenti di tutto, anche contemporaneamente. Motivo per cui non è un artista adatto proprio a tutte le orecchie, pur dovendo ammettere che non è l’udito il problema, in primo luogo. Ad ogni modo ognuno giova adesso delle sue rivoluzioni sonore, a completa insaputa di molti, tra l’altro. La trascendenza non risiede nell’effimero gesto di aver inventato chissà cosa – anche se certi piccoli accorgimenti tecnici sulla sua chitarra Gibson SG e l’uso particolare di alcuni effetti a pedale come il Wah-Wah, oltre che il riverbero, ne caratterizzeranno gli “studi teorici” – ma nella forza con cui ha saputo dare voce ad una critica scomoda.
Forse gli americani, sue prime vittime di feroci attacchi contro la morale, hanno già vissuto qualcosa del genere con il comico satirico Lenny Bruce, di cui Zappa sembra riprendere determinate posizioni proprio in materia di censura. Celebre l’intervista del 1986 in cui viene praticamente vessato da tre giornalisti, dalla quale ne viene fuori con un messaggio ancora più solido e deflagrante rispetto a quanto gli stessero contestando: “nessuna parola dovrebbe essere soppressa”. Con questo spirito le sue opere sono state infuse di messaggi sociali di ogni specie. Gli argomenti di maggiore tendenza sono stati il sesso (fatto, ricevuto, dato, immaginato, dichiarato, raccontato) e la critica di costume.
Tre Album. “Prenderne tre, per prenderne cento” (Semicit). Un triangolo immaginario su cui costruire una primissima base sulla cultura musicale del Maestro.
Ci sono centinaia di scuole di pensiero su come approcciarsi alla musica di Frank Zappa. In effetti per un neofita sarebbe impossibile trovare il nord magnetico davanti al muro di album pubblicati. Mettiamola semplice semplice, ne prendiamo tre e ci puntiamo dei paletti convenzionali al solo scopo di triangolare uno spazio definito sul quale poter ritornare se dovessimo sentirci spaesati.
Si parte con Hot Rats, anno 1969. Secondo disco in studio dell’artista, il più venduto in Europa, contenente Willie The Pimp. Willie il pappone. Questo è il titolo del brano più rappresentativo. Contestualizzare la musica all’anno di uscita ci aiuta a scorgere reminiscenze Rock e Blues tipiche del momento, ma la flessione si destruttura durante la riproduzione facendo venir fuori la modernità che adesso possiamo apprezzare nella sua istantanea da precursore. All’epoca fu avanguardia Acid/Jazz, riferita all’intero LP.
Due, The Grand Wazoo, anno 1972. La capostipite For Calvin (and His Next Two Hitch-Hikers) è un manifesto Progressive con contaminazioni celtiche e psichedeliche. La psichedelia senza synth e suoni onirici. Concepibile? Ebbene sì. Parliamo di cinquanta anni or sono. I Pink Floyd lo facevano avvalendosi di ben altra strumentazione.
Segue uno dei live più conosciuti di Frank Zappa: Roxy & Elsewhere. Correva l’anno 1974 e Roxy, tra le altre cose, era il nome della sua chitarra di rappresentanza, la Gibson SG. Conosciuta in Italia col nomignolo “Diavoletto” per il colore rosso brunito e le corna appuntite delle spalle mancanti. La performance scenica di Pygmy Twylyte è tra le migliori che si possano immaginare. Con la presenza sul palco di una bellissima ragazza avvenente che interagisce con i musicisti mentre suonano, lei è Pamela Miller, una delle prime groupie al mondo, con ogni probabilità. Non come succede oggi con i vari trapper che mercificano (e mortificano) il corpo femminile. Roba di concetto, ideali iperbolici messi su un palco come messaggio visivo sul quale fare anche satira. Su quel palco lei era la regina. Imperdibile.
Oggi Frank Zappa avrebbe compiuto ottant’anni.
La fine prematura gli ha conferito l’immortalità di cui proprio lui non aveva bisogno. Noi umili mortali appassionati di musica avremmo preferito continuare a godere delle sue produzioni. In verità vi dico che di seguaci Frank Zappa non ne ha così pochi come ho volutamente lasciato credere all’inizio di questo contributo. Il problema è che sono meno di quanto meriti e troppo inferiori di numero per riuscire a scolarizzare col suo verbo una leva musicale che è praticamente ignorante (nel senso che ignora). Per fortuna gli effetti della sua musica continuano a rimescolare le carte tutt’oggi e il suo carisma, oltre all’innata predisposizione alla genialità, continueranno ad essere il suo regalo all’umanità. 21 Dicembre, oggi avrebbe compiuto ottant’anni. In genere al compleanno i regali si ricevono, lui seguita a farli, non più fisicamente tra noi. Ci solleva l’unica nota positiva, egoistica: non avremmo potuto rendergli il giusto tributo.
Auguri Maestro Frank Vincet Zappa. Te ne sei andato comunque troppo presto.