di Rosario Pesce
foto di Fabio Cimaglia
L’intervista a D’Alema, che auspica la nascita di un nuovo partito della Sinistra, che prenda spunto dagli errori commessi negli ultimi anni, offre lo spunto per una riflessione che va ben oltre lo spazio progressista, visto che l’esigenza di ricerca di nuove organizzazioni interessa tutti, dalla Destra alla Sinistra riformista.
È un dato storico, ormai incontrovertibile, che Tangentopoli abbia messo in crisi un sistema, quello dei partiti che avevano fatto la Resistenza, che non si è poi ricostruito su nuove basi.
Tutti i partiti, infatti, nati dopo il 1994 sono andati incontro ad un rapido declino, visto che erano legati in modo strettissimo alle fortune dei loro leader, per cui, con il rapido crollo di questa o quella leadership, le organizzazioni partitiche si sono sciolte come neve al sole.
Certo, a Sinistra, le cose sono andate in modo leggermente diverso, visto che il PD ha superato la crisi di molte leadership, ma è indubbio che non sia arrivato a rappresentare la volontà maggioritaria degli elettori, che esso aspirava ad interpretare, per cui oggi oltre la nicchia del 20% dei consensi non riesce, comunque, ad andare.
Dunque, l’esigenza di una rifondazione di nuove aggregazioni si avverte ovunque.
Ma, la personalizzazione sempre più spinta del voto è un ostacolo insormontabile sulla strada della rinascita dei partiti, almeno così come li abbiamo conosciuti nel corso del Novecento.
Oggi, un sindaco o un Governatore, eletti direttamente dal popolo, hanno un consenso molto più ampio di quello dei partiti di provenienza, per cui i veri partiti sono i comitati elettorali di chi è al vertice di Amministrazioni pubbliche e riesce, quindi, a gestire un potere davvero significativo.
Ed, allora, che senso ha ipotizzare la nascita di movimenti o partiti, che non siano espressione immediata di un potere di gestione e di amministrazione della Cosa pubblica?
La democrazia, in particolare quella rappresentativa, ha bisogno di idee portanti per reggersi; un tempo, erano le ideologie (in primis, il comunismo o l’anti-comunismo, come nel caso dei Paesi occidentali).
Oggi, venute meno le ideologie del XX secolo e ridotta la democrazia parlamentare a mera tecnica di governo, è chiaro che dei partiti di un tempo non se ne avverte il bisogno e ci si rifugia in organizzazioni light, che durano il tempo di una stagione, per lasciare poco o niente in eredità.
Quindi, si torni al patrimonio di idee, che l’Occidente ha sempre fatto germogliare, se si vuole ricostruire delle identità partitiche che abbiano un senso – autenticamente – forte.
Ne siamo capaci?
O il trionfo del tecnicismo, anche in politica, svuoterà ulteriormente di significato le forme dell’agire nelle istituzioni rappresentative?
Siamo ad un punto di svolta: democrazia rappresentativa o democrazia delle élite; lungo questo crinale, si gioca la partita dei prossimi anni, che segnerà il ritorno al Novecento o il definitivo allontanarsi dal secolo breve.