di Alfredo Carosella
Michael Moore ha parlato della “cultura della paura” nel film documentario “Bowling for Colombine”, che ha scritto e diretto nel 2002, ricevendo vari riconoscimenti tra cui il Premio Oscar nel 2003.
Il documentario prese spunto dalla storia di due ragazzi, Dilan ed Eric, che avevano trascorso parte della mattinata al bowling, prima di recarsi nella loro scuola per compiere una terribile strage e suicidarsi. Moore ha analizzato diverse ipotesi che hanno provato a spiegare il perché di tanto orrore: la facilità di dotarsi di armi negli Stati Uniti, ma ha poi constatato che il Canada avesse in proporzione più armi e meno omicidi; i video giochi violenti (che però sono giapponesi); la crisi della famiglia (ma in Inghilterra c’erano il doppio dei divorzi rispetto agli USA); la disoccupazione che però era due volte maggiore in Canada; la storia violenta del paese nato con la strage dei nativi americani, ma come non considerare quanto causato dal nazismo, dalla repressione francese in Algeria o dei britannici in India?
Un’altra ipotesi riguardò la passione dei due ragazzi per Marlyn Manson che però aveva migliaia di fans che non hanno mai commesso gesti simili al loro. Come non pensare a Gomorra, da molti ritenuta fonte di ispirazione ed emulazione per tanti delinquenti nostrani?
Il regista del film, dopo aver analizzato tutte le possibili cause che indurrebbero una abnorme diffusione di omicidi negli USA, vista l’impossibilità di trovare differenze sostanziali tra gli americani e gli altri popoli occidentali, propone una sua tesi: la differenza è nella “cultura della paura” messa in atto dai mezzi di informazione e dall’uso politico delle differenze sociali.
Moore ha dimostrato la sua tesi partendo da un altro dato statistico: negli ultimi dieci anni, a fronte di una diminuzione del 20% degli omicidi, c’era stato un aumento del 600 % di notizie di cronaca nera diffuse dai mezzi di informazione.
Veniamo a noi e ai giorni nostri: secondo Eurostat l’Italia è tra i paesi più sicuri d’Europa. Negli ultimi dieci anni il numero degli omicidi è calato della metà, quello delle rapine del 37% e quello dei furti in casa del 8.5%. Però, a detta del Corriere della Sera, il 78% della popolazione crede che i reati siano in aumento. Perché? Nel 2017 il tema della criminalità ha occupato il 36.4% dei principali telegiornali e cioè il doppio di quanto avvenga in Francia e Germania.
La Campania è la regione nella quale ci si sente meno sicuri eppure, in una classifica dei reati pubblicata dal Sole 24 Ore, si legge che Napoli è sì prima in scippi e rapine ma quinta in furti d’auto e estorsioni, ventottesima per omicidi, quarantaduesima per rapine nelle abitazioni, centunesima per furti nelle abitazioni.
Ha suscitato tanto scalpore il video dell’aggressione in branco del rider cinquantenne a Napoli ma le reazioni sono state molto diverse: c’è chi ha partecipato a un’istantanea raccolta di fondi per ricomprare il motorino al malcapitato; chi ha criticato il “buonismo” e però dovrebbe farci sapere quale gesto concreto ha messo in atto per risolvere il problema oppure per portare conforto a chi ne ha bisogno; chi ha criticato l’autore del video, che però forse ha contribuito allo sviluppo delle indagini; chi ha criticato gli automobilisti di passaggio che non si sono fermati ma non sappiamo se hanno chiamato le forze dell’ordine; chi da quaranta anni, o forse di più, dice che bisogna ripartire dalla scuola e dalla famiglia; chi ha detto “è colpa di Gomorra”, “erano solo sei imbranati”, “sono scene normali in una metropoli”.
C’è chi ha invocato pene esemplari e maggiori controlli. Nel frattempo, due ventenni e quattro minorenni sono stati fermati con l’accusa di rapina aggravata in concorso e lo scooter è stato recuperato in brevissimo tempo. Tutti vorremmo vivere in città più sicure ed è auspicabile che gli autori della rapina ricevano e scontino la pena detentiva che meritano. Occorre però stare attenti a non farsi travolgere in maniera incontrollata ed ingiustificata dalla “cultura della paura” che ci fa sentire perennemente in trincea, dove tutto diventa “emergenza”. La paura modifica i nostri atteggiamenti, le scelte politiche e forse anche i nostri sentimenti.