di Maria Rusolo
“Non fidatevi, di maggio. Maggio vi frega in un niente. Basta un attimo di distrazione, un’idea cambiata, una risata in piú e vi frega. Perché maggio sa prendervi alle spalle, in questa città. Arriva di soppiatto e in un lampo vi fa credere di essere altrove, o in un altro tempo. Vi abbraccia coi suoi tentacoli soffici e vi fa pensare che tutto sia a posto, che tutto sia come prima.”
Stamane non potevo non dedicare due minuti alla Serie televisiva dedicata al Commissario Ricciardi, come sempre premetto che la mia non è una recensione e che non ho per abitudine quella di dare giudizi definitivi sulla scrittura o sulla rappresentazione che di essa si fa.
Mi limito come sempre a raccogliere le sensazioni che le immagini restituiscono a chi è affezionata alla pagina, a chi ha accarezzato i personaggi, a chi ha provato ad immergersi in quelle esperienze e narrazioni. Niente di più niente di meno. Ho un rispetto quasi sacrale per l’opera dello scrittore, immagino che quelle figure lo accompagnino durante la notte, che gli si siedano per mesi accanto mentre sorseggia il caffè, che siano quasi una ossessione visiva per lungo tempo e che viverli e poi lasciarli andare sia doloroso, come dire addio ad un amico caro o ad un parente.
Nella testa di ogni lettore c’è una immagine, dei luoghi, delle atmosfere, ci sono suoni, sapori, odori, ci si proietta nelle atmosfere di una città, la si vive , la si percorre, per cui quando qualcuno prende in mano un libro, un buon libro e decide di tratteggiare una tela e di rendere reali i personaggi, allora l’opera d’arte prende vita e raggiunge il grande pubblico e lo avvolge. Come accaduto per Montalbano che è diventato carne ed ossa ed è stato in qualche modo croce e delizia di Camilleri, il nostro amato Camilleri.
Ieri sera c’era tutto De Giovanni nel primo episodio della serie, c’erano le strade affollate, la camminata malinconica di Ricciardi, ed il sentimento di oppressione mentre ascolta le ultime parole di un morto, c’era il passo pesante di Maione, e la finestra nella quale cerca conforto la sera, mentre cerca la normale quotidianità della donna che sa di amare, ma che non vuole amare, c’erano le luci soffuse e l’aria ” mozzata” del regime, nella burocrazia sbiascicata del vice questore e dei suoi fidati, c’era la povertà dei vicoli e la ricchezza della speranza di un piccolo pallone lasciato su di un balcone, il dolore della perdita, ed il senso del crimine che spinge l’essere umano per ” amore o per fame”. Sospensione e speranza, vita, e dipartita, presente che si chiude e che apre il futuro, di cui si temono le conseguenze. La mano fragile ed ossuta che attraversa i capelli in disordine di un uomo che non è mai solo e che deve accettare che i morti lascino un messaggio ai vivi per avere pace. Quante letture possibili, quanti scenari, quante storie che hanno ancora un senso perché scrutano nell’animo umano.
L’anima quel misterioso insieme di cose non sempre afferrabili. Ed allora mentre abbracciavo il povero Ricciardi seduto nel Camerino del San Carlo alla ricerca di un colpevole, nei confronti del quale non c’è mai un giudizio morale, mi sentivo a casa , consapevole che anche l’autore riprenderà la penna per scrivere ancora di lui, perché questo tempo ha bisogno di chi ci parli con amore anche dei nostri limiti, delle nostre paure, ma anche e soprattutto delle nostre speranze. Ben tornato Ricciardi.
“E’ facile stare insieme quando va tutto bene. Il difficile è quando si devono superare le montagne, fa freddo e tira vento. Allora, forse, per trovare calore, uno si deve fare un poco più vicino. ”