di Pasquale Di Fenzo
54 anni fa il “Principe della risata” ci lasciava. Le sue ultime parole prima di morire furono: “Portatemi a Napoli”. Sicché, dopo i funerali che si svolsero a Roma, furono celebrati pure i funerali a Napoli. La stessa cosa sarebbe successo anni dopo per Pino Daniele. Io c’ero il 15 aprile del 1967 nella chiesa del Carmine di Piazza Mercato a Napoli, c’è chi scrisse di centomila persone, chi di duecentomila, altri addirittura parlarono di duecentocinquantamila presenze.
Io ricordo solo che eravamo tantissimi. Quella mattina dalla vicina via dei Tribunali, dove andavo a scuola, partì un corteo spontaneo di professori, bidelli e studenti. Senza che nessuno avesse programmato niente. Oggi si chiamerebbe flash-mob. Partimmo in molti, tanto che il giorno dopo non ci fu nemmeno bisogno della giustifica. Fu una specie di amnistia generale, o indulgenza plenaria. Con la sfrontatezza dei miei quindici anni, riuscii non solo ad entrare in chiesa, ma ad arrivare fin quasi all’altare, dove sfiorai appena la bara, ma non riuscii a toccarla: un rammarico che mi tormenta da cinquant’anni!
D’altronde allora si pensava che si stava semplicemente celebrando un funerale. Ed invece ci accingevamo a consegnare alla storia un artista e a proiettare un mito infinito nel tempo, perché quel giorno Totò divenne immortale, tanto che ancora oggi, basta semplicemente ricordare i personaggi da lui interpretrati per capire subito di chi si sta parlando. E non è da tutti. Per esempio se citiamo i vari Alfredo Berlingieri, Travis, Jimmy Doyle, Mike, Jake, Noodles, Sam Asso, Neil, Padre Bobby Carrillo, Adrian e tanti altri non si capisce di chi si sta parlando. Eppure si tratta di uno degli attori più grandi di tutti i tempi. protagonista di film che hanno fatto la storia del cinema mondiale. Ma pochi se li ricordano. Forse per inquadrare meglio di chi si tratta, bisogna citare il giovane Don Vito Corleone per capire definitivamente che si parla del grandissimo Robert De Niro.
Di contro, in Italia abbiamo un fenomeno diametralmente opposto. Protagonista di film spesso raffazzonati, tratti da sketch dilatati fino all’inverosimile, a volte anche ripetitivi. Eppure basta citare solo il nome del personaggio per ricordarci subito il film, i lazzi, le battute, ed anche le quisquillie e le quinzellacchere. A prescindere. Proviamo? I maestri di musica Antonio Lumaconi ed Antonio Scannagatti, il cigno di Caianiello. I truffatori Ferdinando Esposito, Antonio Capurro o il sedicente sua eccellenza Peluffo. I commissari Gennaro di Sapio e Antonio Saracino, coaudiuvato dall’appuntato Di Sabato. Gli investigatori Mike Spillone e Antonio Posalaquaglia dell’agenzia investigativa Posalaquaglia&Posalaquaglia. Il colonnello Di Maggio ed il generale Cavalli. Il barone Antonio Peletti (…e io pago!), il Duca (dica?) Gagliardo della Forcoletta e il conte Ottone Spinelli degli Ulivi, detto Zazzà. I cavalieri Ercole Pappalardo e Filippo Scaparro. I capibastone Dante Cruciani oppure Don Vincenzo detto il Fenomeno. L’impiegato Antonio Guardalavecchia e l’appuntato di PS Antonio Caccavallo. L’avventizio anagrafico Beniamino Lomacchio e il coraggioso Gennaro Vaccariello. E poi il capostazione Antonio La Quaglia, aspirante ad una stazione capotronco. Il pazzariello don Saverio Petrillo e il candidato numero 47 del PNR Antonio La Trippa (vota Antonio, vota Antonio…). Inoltre Antonio La Puzza, vedovo Nardecchia, che ha attraversato l’Alto Adige. Il tartassato cavalier Torquato Pezzella. Cocozza cavalier Antonio, della premiata pasticceria omonima, con una partita di uova bulgare da smaltire. Umberto Pennazzuto, detto Infortunio. Il presidente della SPA (Società Parcheggiatori Abusivi) Antonio Barbacane e l’aspirante falsario Don Antonio Buonocore di professione portiere, con annessa portineria ben avviata, con condomini che vanno e che vengono e che nel giorno del nome del suo onomastico portano fiori, olio, candele, e…”c’ho mio figlio” (ma l’ho capito dopo averlo sentito almeno una decina volte). Pasqualino Miele, con moglie, figli e suocera a carico. Il bestio Di Cosimo reduce dalla Russia, e addirittura Totokamen e MarcAntonio. E i fratelli Caponi, che siamo noi…naturalmente.
Eppure per ben 35 volte, caso unico al mondo, il nome del protagonista compare nel titolo del film, a cominciare da “Totò al giro d’Italia” e con due film postumi fatti con spezzoni di pellicole precedenti: “Totò Story” e “SuperTotò”, oltre al collage francese, “Antologie de Totò”. E dire che il meglio di se, il principe della risata lo diede quando ormai la malattia lo aveva minato e recitava quasi da cieco. Emblematica resta una testimonianza di Federico Fellini che lo andò a trovare mentre era sul set: “Dopo averlo salutato rimango in silenzio a guardarlo, era più fatato che mai, impalpabile, irraggiungibile. Sorrideva con quel sorriso inerte e disarmato che hanno i ciechi. D’un tratto vengono due della produzione a prenderlo, uno da una parte e uno dall’altra, lo fanno camminare quasi sollevandolo, come portassero un santo in processione, una reliquia…”Voglio vedere come fa a lavorare in quelle condizioni”, penso. Lo conducono al centro del set, lo aiutano ad indossare il suo fracchettino, una bombetta sulla testa ed ha ancora gli occhiali neri sugli occhi bui.
Il regista gli spiega la scena…si accendono le luci. Motore. Ciak: si toglie gli occhiali ed è il miracolo. Improvvisamente è come se vedesse le persone, le cose, i segni sulla scena. Non due occhi, ma cento, mille, che vedono tutto perfettamente. Salta, piroetta, sguscia via in un salotto zeppo di mobili, robottino fantastico. La gente tutta attorno si morde le labbra per non ridere, si nasconde la faccia tra le mani. Stop. La scena è finita, lui si rimette lentamente gli occhiali e tende le mani quasi implorante verso qualcuno che lo venisse a riprendere, facendolo tornare creaturina inerme, un esserino incorporeo, un dolcissimo fantasma che si riparava nel suo buio protettivo”. Fenomeno irripetibile. “Da que planete veniste, barrilete cosmico”, che a distanza di tanti anni, e dopo aver visto infinite volte quelle scene, continua ancora a stupirci e a divertirci?
Ormai non guardo più i suoi film, li viviseziono alla ricerca di nuovi particolari. Ed ogni volta si notano dettagli che in precedenza ci erano sfuggiti. Recentemente ho scoperto che nella scena dei falsari, passando “quella specie di mattarello” a Peppino, gli sussurra un impercettibile: “fate la pasta all’uovo?”. Genio immortale e forse irripetibile. Dispensatore di allegria. A noi tutti il dovere di continuare a divulgare la sua arte. A lui il piacere di continuare a farci sorridere per sempre.