di Annamaria Barbieri, Pedagogista.
La narrazione, l’ascolto, il teatro hanno accompagnato l’uomo, sin dagli albori. In maniera spontanea e naturale l’uomo ha fin da subito, dall’antichità, utilizzato il racconto ai fini formativi, trasmissivi e culturali, e sottolineo “con la naturalezza dell’utilizzo” proprio per valorizzare la natura pedagogica, piuttosto che terapeutica.
I racconti parlano di formazione e agiscono sulla formazione predisponendo l’ambiente più adatto a nutrire il bisogno – diritto di tutti e di ciascuno alla propria crescita, all’esperienza e anticipando la sua varietà e complessità, nei suoi aspetti gioiosi e magici, ma anche duri e crudeli. Tra questi strumenti non manca certamente la fiaba.
Qui i personaggi sono tratteggiati, non ben definiti, ma facilmente identificabili e riconoscibili, nel bene o nel male; c’è la magia, c’è l’effetto sorpresa; c’è la giustizia, il coraggio; c’è la difficoltà; c’è il lieto fine, tutti valori, individuali e sociali, a cui educarsi ed educare, utilizzando un linguaggio semplice, non diretto che lascia spazio al bambino di apprendere ciò di cui necessita, in modo libero, senza condizionamenti diretti.
Per i più grandicelli, la fiaba rappresenta anche la fonte da cui possono nascere e sgorgare un fiume di interrogativi, diventando così, essi stessi, protagonisti della propria formazione verso il pensiero critico, divergente. Per i più piccolini, invece, le fiabe rappresentano la voce calma ed accogliente, talvolta contenitiva, dell’adulto che racconta; un momento importante del rituale dell’addormentamento; uno strumento efficace per educare sin da piccolissimo al linguaggio. La fiaba piace ai bambini quanto agli adulti.
Non è vero che è il luogo dell’immaginazione in cui solo il bambino ha l’opportunità di riconoscere le sue emozioni, di incontrare diverse situazioni, di fare nuove esperienze, di apprendere nuovi modi per risolvere e superare le difficoltà. La fiaba, infatti, è anche il luogo per eccellenza dell’adulto, che può ritrovare e ripercorrere quelle emozioni provate nell’infanzia, ritrovare quella parte di sé infantile, più scevra da resistenze, più semplice nell’espressione.
E ancora, la fiaba può diventare luogo d’incontro tra adulto e bambino in uno spazio neutrale che ciascuno, ma insieme, può co-costruire una relazione educativa più intima ed autentica. Molto spesso presso il mio studio pedagogico utilizzo le fiabe e le favole per aiutare bambini ed adulti ad affrontare le proprie emozioni, le proprie difficoltà.
Le ho utilizzate per esempio con bimbi con difficoltà comportamentali, cosiddetti oppositivi-provocatori, bambini con difficoltà emotive, cosiddetti problematici, quando invece sarebbe più corretto dire semplicemente bambini bisognosi di strumenti educativamente efficaci che li aiutino a comprendere e ad esprimersi. Li utilizzo anche con genitori e figli, insieme, per accompagnarli a ri-costruire un dialogo autentico e una relazione educativa, temporaneamente messa a dura prova. Il percorso si è sempre dimostrato efficace ed è sempre bello vedere come attraverso l’uso della parola, del dialogo, dell’interpretazione si riesca a raggiungere una distanza dalla storia personale, ma allo stesso tempo un riavvicinamento all’immagine di sé senza passare per la percezione negativa, creando ponti.
Insomma, si arriva alla consapevolezza senza sentirsi direttamente sotto la lente di ingrandimento. Generalmente, a scelta della fiaba viene fatta da me in base a ciò che ritengo di dover tentare di stimolare o supportare, ma talvolta viene utilizzata solo come incipit da cui partire per lasciare immaginare poi al bambino o all’adulto possibili conclusioni o soluzioni.
E’importante creare l’ambiente giusto: generalmente ci mettiamo seduti su un tappeto, con cuscini sparsi per terra, in posizione di ascolto, sospendendo il giudizio. Ci si apre ad accogliere una storia, la storia di quei personaggi che con “generosità” lasciano a tutti la possibilità di attingere liberamente, consapevolmente o inconsapevolmente, qualcosa per sempre.