La costruzione del consenso

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di Maria Rusolo

„La differenza tra Democrazia e Dittatura è che in Democrazia prima si vota e poi si prendono ordini; in una Dittatura non c’è bisogno di sprecare il tempo andando a votare.“

Non si spreca più tempo a spiegare la democrazia e le elezioni non sono più la base di confronto delle idee al fine della esaltazione della stessa. Vince chi ha in mano il potere economico finalizzato alla costruzione del consenso ed alla raccolta delle truppe di mercenari che girano in lungo ed in largo le città ed i piccoli paesi, per raccattare voti.

Tutti si lamentano, ma tutti immancabilmente scendono a compromessi per quieto vivere o nella speranza di ottenere qualcosa, cedendo, non uso volontariamente il verbo vendere, il proprio voto. Guardate chi scrive ci ha sempre messo la faccia, a costo di calci nel sedere e di pedaggi pagati anche a livello professionale. Niente scorciatoie per chi a queste latitudini si impegna con la volontà di costruire le alternative, con chi non scende a compromessi, con chi non ha nulla da dare, se non la propria competenza, il proprio studio, la propria forza interiore per raddrizzare il cammino di questa parte di Paese sempre più isolata dal resto d’Europa.

La Pandemia mi auguravo potesse lasciare dei segni nella pelle, delle cicatrici cosi visibili da farci capire che dobbiamo pretendere molto di più. Abbiamo perso affetti, abbiamo perso il diritto ad entrare in un Ospedale, in una Scuola, nel posto di lavoro, o in un Ufficio Pubblico; siamo ancora nella condizione di non poterci curare, di dover elemosinare una mammografia, o un intervento al cuore. Siamo nella terribile condizione di non poter vedere riconosciuti i nostri diritti in un’aula di Tribunale, ma niente, tutto continua a scivolarci addosso.

Ogni segnale ha la sua importanza, ogni vita ha un suo valore, ogni gesto che compiamo conduce con se tutta una serie di conseguenze, che non possono sembrarci ininfluenti. Vi pare normale che un po’ di pioggia debba paralizzare le nostre citta, che debbano esplodere i tombini, o che si debbano allagare le case, veramente pensate che sia giusto avere l’acqua nera che scorre dai rubinetti, o che sia giusto che le società pubbliche che gestiscono servizi essenziali per la nostra vita, debbano essere terra di nessuno, uffici di collocamento per raccomandati e scansafatiche? Siamo a questi livelli?

Vogliamo che i nostri figli debbano accontentarsi di una mediocre istruzione e che non possano accedere a posti per competenza, ma solo ” per appartenenza”? Abbiamo consumato la terra e la speranza, abbiamo lasciato agli altri il nostro destino, e ci adagiamo sugli allori del ” cambiare tutto per non cambiare nulla”. Siamo fermi, amici miei, fermi come non mai.

Molti dei piccoli Paesi delle nostre zone, vivono atmosfere spettrali dopo le 18 nell’autunno gelido di queste latitudini, non hanno più ospedali, servizi di accoglienza per anziani e disabili, scuole, e segnano una decrescita infelice. Le generazioni precedenti alla nostra avevano immaginato questo e voluto questo per noi? Non credo proprio, anche se detto fuori dai denti non sono immuni da responsabilità, non si schiodano neanche a prenderli a cannonate, hanno colonizzato ogni anfratto della società e delle istituzioni, ed hanno insegnato ai loro fedelissimi, che poi li hanno pugnalati alle spalle, ad essere spregiudicati e senza etica.

E ci troviamo quindi a scegliere tra l’essere spettatori passivi oppure partecipare attivamente a processi democratici nei quali alla fine non riusciremo ad incidere.

Insomma dobbiamo morire, e possiamo solo optare per un metodo lento ed indolore o uno rapido e violento. Insomma la recente tornata elettorale mi ha ridotto come il Pastore errante dell’Asia, e pensare che io che mi sono sempre dipinta come Dorothy del Mago di OZ. Non ci resta che sperare che giunga il tempo in cui ritroverò e ritroveremo compagni di avventura, un po’ uomo di latta, leone e spaventapasseri per accompagnarmi ed accompagnarci nel viaggio alla ricerca della giustizia delle piccole cose.

“Il popolo cornuto era e cornuto resta: la differenza è che il fascismo appendeva una bandiera sola alle corna del popolo e la democrazia lascia che ognuno se l’appenda da sé, del colore che gli piace, alle proprie corna.”

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.