di Alessandro D’Orazio
All’inizio nessuno sapeva cosa fosse, ma da qualche anno a questa parte il co-living si è diffuso a macchia d’olio soprattutto nelle grandi metropoli. Nato come risposta all’aumento dei canoni di locazione, questo fenomeno ha alla base la curiosità e il desiderio di molte persone di condividere uno spazio comune residenziale. Il co-living si deve, insomma, alla volontà di creare una vera e propria comunità sociale in sostituzione del tradizionale nucleo familiare.
Quanto possa essere valido tale pensiero è difficile da giudicare; resta il fatto che già in questo momento a New York ci sono centinaia di spazi residenziali dotati di tutti i comfort, incluso un social network utilizzabile dagli inquilini. Anche a Londra è stato costruito un grattacielo di 30 piani con più di 220 appartamenti per il co-living più grande del mondo. Si tratta di un vero record in questo campo con l’aria di essere una sorta di club privato, che include un teatro, un giardino, una spa, un ristorante e persino una biblioteca.
L’innovazione giunta dagli Stati Uniti prevede la creazione di un modello di vita comunitaria residenziale in grado di far convivere tre o più persone biologicamente estranee. Generalmente il co-living si presenta come un tipo di comunità intenzionale che fornisce alloggi condivisi a persone con valori o intenzioni simili. I componenti di questo “nucleo artificiale” sono spesso lavoratori atipici, single o persone non intenzionate ad avere rapporti stabili nell’ambito del tradizionale contesto familiare.
Al di là delle comodità messe a disposizione nei condomini in co-living quali palestre, piscine, salotti e giardini, rimane il grande dilemma se questo nascente fenomeno sia o meno proficuo per lo sviluppo delle relazioni sociali. In un Paese come l’Italia, dove il concetto di famiglia appare un po’ più solido rispetto a molti altri Stati occidentali (in particolare quelli anglosassoni), il co-living sembra non aver fatto del tutto breccia. Nonostante questo, a Bologna ad esempio, già dal 2015 esiste lo spazio Lambanda: oltre 1000 metri quadri in co-living in grado di ospitare 18 inquilini. Ciò significa che ogni singolo membro di Lambanda ha a disposizione circa 55 metri quadri. Spazi simili esistono anche a Salerno, e altri verranno progettati in varie città italiane. Riassumendo, dunque, se da un lato il co-living può essere considerato una soluzione valida per risparmiare sui canoni d’affitto delle grandi città, dall’altro presenta numerose limitazioni, tra cui quella di porre un freno alle tradizionali aspirazioni familiari di ciascun individuo.