di Maria Rusolo
„La pace nasce dalla coerenza, dalla legalità, dal rispetto dell’altro, dal far proprie le speranze e le esigenze degli altri. La pace nasce dalla fatica di dire no quando è necessario.“
Siamo ormai tutti Maratoneti in questi giorni, attaccati allo schermo, per seguire le vicende della elezione del Presidente della Repubblica. Come sempre accade la logica è un po’ quella del Bar dello Sport, per cui da tutti allenatori, e negli ultimi tempi, virologi ed esperti di ” curve”, ci si siamo trasformati in abili conoscitori di dinamiche, trattative e prassi costituzionali.
Non si può entrare a prendere un caffè, che incontri qualcuno che costruisce le proprie considerazioni su chi sia più giusto, su cosa si nasconda dietro le varie votazioni, su trame da giallo degno di una vera investigazione alla Poirot. Insomma anche la elezione della figura più importante nel nostro panorama istituzionale finisce per assumere contorni quanto mai ridicoli. Ci meritiamo questo spettacolo indegno?
Io in tutta onestà penso proprio che la risposta non possa che essere affermativa. In questo Paese si è deciso che la politica dovesse morire, che i partiti e la cultura che in essi si costruiva con il tempo e l’impegno, seppure con storture e limiti, fossero gli unici responsabili di tutto quello che non funzionava. Dagli anni Novanta in poi avere una tessera di partito è diventata una cosa di cui vergognarsi, bisognava favorire il civismo, l’uno vale uno, e far passare il messaggio che il curriculum non fosse più una cosa di cui andare fieri. I giovani non sono stati valorizzati nei livelli istituzionali locali, anzi sono stati, spesso banale strumento per catalizzare i voti di quella generazione che non cresceva e non cresce, non si impegnava e non si impegna ed oggi, non si sente rappresentata.
Ci sono gravi, gravissime responsabilità di chi ha pensato di coltivare vivai di clienti più che di dirigenti politici, al punto poi che nelle difficoltà, il Paese si è rivolto ai tecnici, come panacea, salvo poi scaricare loro addosso ogni effetto di decisioni impopolari. Osservando quello che accade in queste ore tra schede bianche, voti a porno divi, a star televisive, si comprende quanto sia ignobile il livello culturale di chi siede oggi in Parlamento. Non è più questione di cabina elettorale, ormai il 40% dell’elettorato non si reca più a votare, per non dover scegliere il meno peggio, è che non c’è più la corretta valutazione delle intelligenze, è l’assenza totale di impegno della classe media e di quelli che una volta si chiamavano intellettuali.
A questi ultimi io riconosco gravi colpe, chiusi ed arroccati in posizioni ideologiche, nelle proprie case di lusso dei quartieri alti, non si sono più posti e non si pongono nella ottica di spiegare i fenomeni, di prevenirli, di studiare soluzioni e di ascoltare ed interpretare il malessere dilagante. Ogni reazione ai regimi dittatoriali è nata all’interno di un’opera d’arte, un’opera letteraria, una sinfonia; come non ricordare il Va Pensiero, o come non sentire ancora il calore delle parole di Lorca o di Ginzburg, di Levi, di Pirandello.
Le parole, il tratto di una penna su di un foglio, mentre erano anche in esilio, hanno dato coraggio, hanno incrinato la violenza delle idee e della ideologia, hanno creato le basi per un mondo più giusto ed equo. Oggi il silenzio fa male, corrode la pelle e l’anima, ci si sente soli ed incapaci di incidere, succubi di volgarità e di esasperazione e ci tocca assistere a questo ultimo scempio che spero si concluda nel più breve tempo possibile. Fuori dalla finestra il mondo va avanti tra rumori di guerra, deficit energetico, bambini ammassati al freddo e sogni che lentamente svaniscono. Spero che questi uomini e donne che siedono in quelle stanze, si rendano presto conto che la storia parlerà di loro e non sarà per raccontarne gesta e pensieri brillanti.
„È vero, c’è una corruzione che vediamo diffusa come se ci fosse una sorta di concezione rapinatoria della vita. La corruzione, il potere fine a se stesso, sono conseguenza di una caduta della politica. Di un suo impoverimento.“