di Christian Sanna
Dipende da cosa cerchi in quel momento, dipende dallo stato d’animo che hai. Chiudere per partito preso, rifiutarsi a priori di capire può essere sintomo di un’intelligenza poco elastica. Attenzione! Non sto dicendo mancanza di intelligenza, ma semplicemente che è presente una rigidità che talvolta non aiuta a comprendere pienamente quanto sforzo ed impegno ci siano nel fare alcune cose.
Esiste persino una fatica nell’esercitare la mediocrità, nel mettere in atto qualcosa che fa storcere il naso dei destinatari dai gusti più raffinati. A tredici anni mi ero già complicato abbastanza la vita leggendo Macedonio Fernández, in fondo sono stato ed al momento ancora sono un “sognare senza limiti”, mi sono devastato dentro studiando Borges, Cortàzar. Márai. Ne La donna giusta c’è un passaggio che è diventato, negli anni, il manifesto della mia vita sentimentale In ogni vero uomo c’è una certa ritrosia, come se egli volesse precludere una parte del suo essere, della sua anima, alla donna amata, come se le dicesse: «Ti concedo di arrivare fino a qui, mia cara, e non oltre. Ma qui, nella settima stanza, ci voglio restare da solo». Le donne stupide impazziscono di rabbia. Quelle intelligenti si intristiscono, si lasciano prendere dalla curiosità, ma alla fine se ne fanno una ragione.
Ho ascoltato di tutto perchè ero curioso, volevo capire cosa spingesse l’altro ad amare un genere musicale che non apprezzavo particolarmente. All’inizio non riuscivo a spiegarmi il successo di certe canzoni che di poetico avevano ben poco se non nulla, poi ho capito. Ho capito che dipende dallo stato d’animo del momento, da cosa cerchi in quell’attimo e se si è sereni nel giudizio, pacati nella riflessione si riesce ad essere meno antipatici e drastici nelle valutazioni, pur restando fedeli alla propria statura culturale, ai gusti personali. Presto mi innamorai della parola, durante l’adolescenza ascoltavo Ciampi, Lolli, De Angelis, Rosso, Bertoli, De Andrè, Guccini, Fossati, Fortis, Brassens, Brel, Vian, Cohen, Ferrè…
Potrei continuare la lista per mezza giornata, ma già così non dev’essere difficile intuire quanto abbia iniziato presto a tormentarmi l’esistenza. Volevo essere la tristezza e la sconfitta cantata in quelle canzoni, il dolore e l’estasi che emergeva dall’ascolto di quei versi. Non è un mistero che l’apice, in molti campi, sia stato già toccato; tante cose dette in maniera più o meno sublime le abbiamo già ascoltate e non sono bravo a fare le percentuali, non sono capace di affermare quanta affezione ai propri ricordi ci sia, a fini di uno sbilanciamento del giudizio. Quanto obiettivo può essere il punto di vista di un quasi quarantaduenne, venuto al mondo con una forma di nostalgia pregressa e che quella voglia di ritornare da dove è venuto, negli anni, non solo non è diminuita nè rimasta invariata, ma addirittura è aumentata.
Io muoio alla giornata e come Flaiano penso che ad andare avanti ci voglia coraggio, perchè il meglio è passato. Allora, provo a separarmi dai pregiudizi: in me c’è uno che ritiene la musica di Tenco, Battiato ed Endrigo inarrivabile, la cultura di Vecchioni inavvicinabile. Quel critico in me ritiene che da vent’anni a questa parte in campo musicale ed artistico non sia successo quasi nulla, a parte qualche eccezione, di memorabile.
L’Ave Maria di Shubert fu composta nel 1825, nel 2022 strappa ancora le lacrime, commuove nelle cerimonie, benedice un amore. Ogni volta che chiudevo una storia, pensavo che senza l’ascolto de La Canzone dell’amore perduto di De Andrè, quel sentimento finito non potesse essere archiviato. Certo, le parole del grande poeta genovese mi attraversavano il cuore con una lama sottile, ma quella musica settecentesca composta da Telemann mi devastava nel profondo, mi sprofondava in un abisso di dolore che, una volta razionalizzato e codificato, s’avvicinava ad un piacere sofisticato; una specie di felicità d’essere triste.
Perchè, un eroe sconfitto che, intatta mantiene la sua dignità, può infinitamente apparire più interessante di un eroe “volgare” e trionfante. La parte di me sostenitrice che il meglio è passato, ritiene che non resti più molto da dire, scrivere e la butto lì, probabilmente da sognare. C’è già stato chi ha baciato le labbra della donna del suo destino, sotto il mandorlo in fiore, nei pressi di un miraggio. Le note perfette sul pentagramma le hanno messe Bach, Mozart, Beethoven, Chopin, Čajkovskij… Chi è venuto dopo, in mancanza di quell’ispirazione assoluta, ha dovuto reinventarsi uno spazio, aggiungendo dei dettagli, modificando una struttura già ben definita. Insomma, si campa di rendita e si vivacchia su quanto già pensato e realizzato in passato. Ed una certa qualità culturale, quindi di contenuti rivestiti da una forma accattivante, penso sia stata già ampiamente esaudita.
Stiamo sempre a cantare canzoni di cinquanta, quaranta, trenta anni fa. Due sono le cose: soffriamo di amnesia a breve termine, quindi non ricordiamo i brani recenti oppure i prodotti culturali di oggi imitano gli articoli elettronici. Quanto dura un frigorifero super accessoriato? Cinque, sei, sette, otto anni? Le lavatrici di un tempo sembravano indistruttibili. Che oggi sia tutto più a breve termine mi sembra un fatto abbastanza oggettivo, poi ognuno può pensarla come vuole e tirare acqua al proprio mulino, ma appare chiaro che siamo di fronti ad una crisi dell’acqua. Un’altra parte di me è dell’idea che bisogna guardare con curiosità ad altre forme di espressione, perché ci può essere emozione in un particolare arrangiamento o in una performance sopra le righe, in un messaggio lanciato attraverso una comunicazione che la mia generazione fatica a capire, perché alcuni di noi sono troppo affezionati all’epoca che ha segnato la propria gioventù.
Non so voi, ma l’arte riesce ancora a commuovermi e davanti ad un dipinto di Chagall, Klimt, Van Gogh, Da Vinci, Giotto, Raffaello, Michelangelo, Donatello…Con buona pace di chi sta sempre a dividere in periodi storici e in correnti di pensiero, influenze artistiche. Ognuno di questi in epoche diverse ha saputo restare fedele ad un’idea di genialità. Tuttavia, la mia curiosità mi spinge a scavalcare il diffidente che c’è in me ed allora mi metto alla ricerca di quegli elementi che possono aiutarmi a risolvere l’Arcano: cosa spinge la massa ad apprezzare quelle cose che ritengo lontane dall’arte, ma certamente vicine alla provocazione.
Probabile che come tutti io sia legato ai valori della mia generazione e che quindi non abbia gli strumenti per capire i valori delle nuove generazioni. Tuttavia, credo che vada rispettata la creatività, sempre. In fondo che sia di qualità o no, c’è sempre la fatica di un pensiero, un progetto. Una visione. Un messaggio da lanciare. Al centro, proprio nel mezzo di queste due parti di me, c’è il tuorlo della questione: ma che me frega! Ognuno facesse come gli pare, purché rispetti gli altri, comunicasse come crede, a patto che non offenda nessuno. Qui non bisogna convincere nessuno ed ognuno è libero di scegliere fra eccellenza e mediocrità, profondità e superficialità, apparenza ed essenza. Ideale e convenienza. Mercato e coerenza. Vita e Morte sono i volti di un unico Mistero.
Io come tutti non ci ho capito granchè.