di Giosuè Di Palo
E’ degli ultimi giorni la notizia secondo cui la Corte Costituzionale, pronunciandosi sull’ammissibilità di otto quesiti referendari, ne ha dichiarato l’inammissibilità dei due per i quali l’opinione pubblica si è più interrogata nei mesi scorsi e sui quali il dibattito politico non è mai stato così acceso.
Anzitutto quello sull’eutanasia legale, promossa dall’associazione Coscioni, ritenuto inammissibile in quanto, così come riferito dalla Corte, “a seguito dell’abrogazione, ancorché parziale, della norma sull’omicidio del consenziente, cui il quesito mira, non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili.”
Vi è poi il referendum sulla depenalizzazione della Cannabis, che vede tra i promotori ancora l’associazione Coscioni, +Europa, Radicale Italiani, Possibile, Potere al Popolo e Prc con una lunga serie di altre associazioni. Quest’ultimo anche ritenuto inammissibile poiché, come spiegato dal presidente della Corte Costituzionale Giuliano Amato, “il quesito è articolato in tre sottoquesiti ed il primo prevede che scompaia, tra le attività penalmente punite, la coltivazione delle sostanze stupefacenti di cui alle tabelle 1 e 3, che neppure includono la Cannabis, ma il papavero, la coca e le cosìdette droghe pesanti.” Continua, poi, dicendo “se il quesito è diviso in tre sottoquesiti, io non posso toccare questo treno: se il primo vagone deraglia, si porta dietro gli altri due.”
Insomma, per un pasticcio di intrecci di norme, cavilli e tecnicismi, saltano i referendum sui quali maggiormente ci si era spesi in questo periodo per promuoverne l’approvazione definitiva. Ma il mio discorso non vuole puntare il dito contro le scelte della Corte, anzi. Quelle sono inoppugnabili, insindacabili. Se vi sono errori tecnici nella scrittura dei quesiti è sacrosanto intervenire. Il punto è analizzare i fenomeni che negli ultimi anni si stanno susseguendo. Fenomeni che delineano un quadro sicuramente positivo dal punto di vista del dibattito pubblico. Mai come oggi l’attenzione ai diritti civili ha raggiunto punti che fino a qualche anno fa si sognava di poter raggiungere.
Dal Ddl Zan, al diritto di scegliere liberamente cosa fare con il proprio corpo, la libertà e la tutela della vita che passa, anche, per la possibilità di porne fine in casi di estrema difficoltà e malessere psicofisico. La visione molto più libera da preconcetti anche dal punto di vista delle “droghe leggere”. Insomma, c’è un cambiamento significativo della società che solo un cieco fatica a riconoscere, e che non può e non deve essere lasciato in un angolino a marcire, anzi, promosso e valorizzato. Perché è sintomo di una nuova Italia, un’Italia sempre più consapevole e meno schiacciata da ideologie ultra Cattoliche e conservatrici che lasciano il tempo che trovano.
Un cambiamento dovuto anche, e soprattutto direi, dalla nuova educazione che la nostra, la mia generazione, ha acquisito in questi anni e che trova una chiave di volta nell’empatia, nel lasciare agli altri la possibilità di esprimersi al meglio, senza giudizi e sentenze. Perché alla fine chi siamo noi per giudicare cosa sia giusto o sbagliato, secondo quale presunzione di superiorità morale? Secondo quale indice di valori insindacabile? Ormai è chiaro che un intervento del Parlamento in merito alle nuove istanze promosse dai cittadini non è solo auspicabile, ma un dovere morale. Forse l’unico modo per ristabilire quella frattura apparentemente insanabile che lega la Politica al popolo, e che potrebbe trovare finalmente una, anche se parziale, soluzione.