di Giosuè Di Palo
Dall’accettazione del dolore alla consapevolezza di sé. Maid è un gioiello targato Netflix che difficilmente dimenticherete. E’ un viaggio crudo e reale nella mente di una vittima di abuso emotivo, intervallato da brevi ma intensissimi momenti di dolcezza madre-figlia. [Alex è una madre single in fuga da un rapporto tossico. Ha una figlia, Maddie, dolcissima, che guarda il mondo con occhi sognanti e vivaci anche nei momenti peggiori.
Anche quando la realtà in cui abitano è tutt’altro che un sogno. Alex per sopravvivere fa la cameriera, ma ha una passione, la scrittura, che proverà fino in fondo a coltivare. ] E’ difficile riuscire a trovare, nel calderone di prodotti nuovi che ogni giorno promuove Netflix, qualcosa di realmente coinvolgente. E’ difficile perché spesso noi stessi cerchiamo prodotti “usa e getta”, facili, digeribili e disimpegnati. Maid, invece, si trova all’opposto, in quell’angolo di serialità “profonda” che tiene incollati allo schermo dalla prima immagine fino ai titoli di coda dell’ultimo episodio.
Ed è da lì che vorrei partire per cercare di analizzare questa serie. Nelle scene finali vediamo una madre, Alex (Margaret Qualley), che mostra alla figlia Maddy (Rylea Nevaeh Whittet) la vista mozzafiato dalla vetta di una collina, nella città in cui le due si sono trasferite dopo tanti sacrifici. Sulla vetta, nell’erba, c’è disegnata una gigantesca M, di Missoula, la città, ma anche di Maddy; come a voler simboleggiare il percorso fatto da una madre in nome della figlia. Alex in quella città non ci è arrivata per caso ma ha dovuto imparare a camminare da sola, cadere, rialzarsi e cadere di nuovo.
Solo per fare un passo in più, solo per sua figlia, solo per sfuggire da un rapporto malato, tossico, che la stava distruggendo. La strada per l’indipendenza economica sarà un vortice in cui Alex si tuffa senza pensarci troppo. Fa la cameriera per una manciata di dollari principalmente in case di ricchi imprenditori e personaggi di successo che le permetteranno di osservare le abitudini e la quotidianità di un ambiente per lei troppo distante. Ma anche i punti di oscurità di un mondo così impaillettato. La vita di Alex è un susseguirsi di guai: dal rapporto tossico col compagno alla madre bipolare, anche lei spesso sfruttata dagli uomini. La sua è una ricerca di pace e serenità lontano dal caos che l’ha imprigionata fino a quel momento. Alex scappa dal compagno e và a vivere con la figlia in un centro per vittime di violenza. Sarà solo lì, in quell’ambiente di persone che condividono la sua stessa sofferenza, che hanno sopportato le stesse difficoltà che la protagonista, con fatica, riuscirà ad elaborare il suo dolore e trovare la forza di inseguire la sua passione più grande : la scrittura.
Tra incidenti d’auto, problemi economici, litigi familiari e muffa sulle pareti, Alex imparerà a credere sempre di più in sé stessa. Conoscerà il valore dell’individualità rispetto ad una vita di coppia nella quale si è per troppo tempo rifugiata. Maid è una serie per tutti, che offre profondi spunti di riflessione riguardo argomenti mai come adesso attuali. Quello dell’abuso emotivo è un tema spesso marginalizzato e raramente compreso. E’ come se, per poter ottenere il “pass” di vittima di abusi, bisogni avere le ferite e le cicatrici ben visibili. Mentre quelle interiori, spesso nascoste, spesso della mente, spesso più insidiose, non valgano lo stesso. Non meritino la stessa attenzione.
Io stesso ammetto di aver avuto difficoltà all’inizio a comprendere la reale entità dell’abuso che la serie portava in scena. Anch’io sono caduto nell’errore di minimizzare la realtà, di decostruirla. Eppure fotogramma dopo fotogramma, episodio dopo episodio si fatica a non affezionarsi alla protagonista e alla sua storia. Maid è una serie da vedere e far vedere, da commentare ed analizzare con cura. La stessa cura che ha la protagonista nel farsi carico della figlia e regalarle attimi di spensieratezza, come la festa che le organizza per il compleanno, con la fatica ed il sudore della libertà raggiunta.