di Anna Iaccarino
Ci sono fasi, momenti, frangenti, in cui, senza scomodare parole come bisogno, necessità, evoluzione, ti ritrovi a voler essere altrove, a navigare lidi senza mete, a cercare spazi senza pareti, “luoghi di dentro” dove poggiare piano quell’unica cosa che in quel momento sei e vuoi essere: te insieme a te. Non è allontanamento, disagio, fermo di sé, neanche solitudine, chiusura, disabitarsi.
Non significa non sentirsi compiuti né che non si viva di cuori in amore.
È semplicemente la tua vita che in quel momento chiede di essere solo “tua”.
Per poco, qualche ora, qualche tempo, senza retaggi né aspettative, nella sola pienezza dell’oggi dei giorni, che parlano a te senza bisogno di uditori, che ti scelgono senza bisogno di assoluzioni, che ti accarezzano senza la morsa della stretta, che ti sfiorano in lacci invisibili di abbracci.
Non durano molto e ad un certo punto diventano evanescenti così come sono nati, ma ogni volta lasciano quegli stati che ti hanno fatto bene nella libertà del non essere, lasciandoti quella di rimanere chi sei. Si riprende poi da lì, da piccole tracce in divenire, che non cercano partenze certe, ma passi sparsi in nuove traiettorie da accompagnare al tempo.
Credo che questo stato in “errar d’essere” non abbia appartenenze esclusive, ma avvicini tante anime in un comune sentire, pur nel distinguo di storie e modalità, distinte e lontane tra loro.
A me è successo, ne sono appena tornata. Ormai è una parte di me che ogni tanto torna a cercarmi. Non frequente, non ravvicinata, ma a cui ogni volta sono grata. Soprattutto in una fase storica come quella che stiamo vivendo, mi concede una neutralità di vita per riarticolare il sé, per rigenerare i tanti me, silenti e gridanti. Una sospensiva per immaginare l’incognita di una nuova bellezza possibile, di un diverso riaversi. Forse la ricerca infinita di quella idea di sentimento oggi così lontana da una società sempre più mancante di una veste valoriale.
E allora capita di rendersi estranei, lontani dalla grancassa del pensiero comune, senza voler più farsi dire dal mondo chi siamo, senza farsi giudicare per quello che non siamo, senza permettere di osservarci, ma anche senza farlo noi stessi con gli altri. Non una fuga, ma un modo per rispecchiarsi dentro le proprie incertezze, oltre il giudizio.
Ritrovare, in questa modalità, nuova linfa vitale significa saper passare dagli interrogativi al tentativo di darsi risposte, dalle riflessioni alla determinazione di nuovi fatti, dalla “sospensione” al tuffarsi nella mischia. Sicuramente non facile e con la più matura consapevolezza che non si tornerà come prima, magari più fragili ma più coscienti nel non sentirsi più come parte di un qualcosa che ti è sfuggito.
E allora riparti dal tempo recintato e capisci che la “sospensione” la si supera selezionando una collettività variegata, ma orientata a comuni cammini culturali ed esistenziali. Nuovi fatti e circostanze che devi provare a determinare, a condizionare, a costruire, a rendere parte attiva, in cui sentirsi condivisi, rispettati e senza reticenze.
Rimescolare le carte per una nuova partita, al netto del punteggio precedente, che potrà significare anche perdere, ma che sicuramente varrà la pena giocarsela.
A volte la vittoria è anche questa. Crederci ancora!