di Maria Rusolo
Ci sono degli uomini politici, che sarebbe bene chiamare politicanti, i quali, se avessero come elettori dei cannibali, prometterebbero loro missionari per cena.
Quanto accaduto in Parlamento negli ultimi giorni ha davvero dell’incredibile o non è forse l’epilogo annunciato di una classe dirigente sempre più preoccupata dell’interesse all’autoconservazione? Chi ha la pazienza di leggermi sa bene quale sia la mia opinione sulla questione, ritengo da sempre che questo atteggiamento sia l’espressione più deteriore di un Paese che è ormai a pezzi, privo di una ossatura etica, civile e sociale e che da decenni si arrovella sulla ricerca del potere in ogni anfratto, di qualsiasi tipo di potere, senza badare al modo in cui si conquista e si mantiene nel tempo.
La classe dirigente è lo specchio fedele di una comunità che non ha più punti di appoggio, che non sa più cosa sia giusto e cosa sia sbagliato e che si preoccupa di raggiungere il fine senza preoccuparsi del mezzo da usare. Gli incapaci, i furbi, gli scaltri vengono considerati elemento inevitabile da collocare in qualche posto, purché garantiscano un beneficio nel presente, non curanti e non coscienti della possibilità di ipotecare il futuro e di annientare ogni possibilità di riscatto. Eppure in questa circostanza si deve constatare, devo prenderne atto, con una qualche soddisfazione, che il popolo ha reagito alla crisi di governo, alla cacciata vendicativa di un uomo come Draghi in maniera quasi violenta.
Ebbene si, finalmente, aldilà di come la si pensi, delle scelte compiute in questi mesi dal Governo, a Draghi la gente riconosce ed ha riconosciuto un livello di competenze, di preparazione e di onestà, tali da non meritare un simile trattamento. Gli interventi ascoltati in Senato, proferiti da una banda di scappati di casa, dagli ultimi della classe, quelli che a scuola si sedevano all’ultimo banco ed a cui veniva regalata la promozione, per toglierseli dalle scatole, hanno raggiunto l’effetto di una bomba sulla opinione pubblica. I cittadini si sono sentiti persi in un mare in tempesta senza un capitano degno di questo nome, capace di condurli su una spiaggia sicura e protetta dalla furia degli elementi.
Non c’è una distinzione di censo, di cultura o di di età il coro è stato unanime, non era il momento di andare ad elezioni e soprattutto non era il momento di lasciare il Paese in balia di chi non fa che usare slogan pre- confenzionati utili solo a colpire e conquistare la pancia degli Italiani che la loro mente e la loro coscienza. Le forze politiche, eternamente in campagna elettorale, hanno pensato bene di seguire i sondaggi più che l’interesse generale che dovrebbero servire in religioso silenzio, con decoro e senso della opportunità e della misura. Lo scenario internazionale è devastante e gli effetti si pagano sulla pelle ogni giorno nel silenzio generale, ed invece li senti parlare di candidature, seggi sicuri, elezione diretta del PDR, scie chimiche, luna e stelle all’orizzonte. Non è la mancanza di ideologie che mi atterrisce, ma la mancanza di una visione programmatica, che miri a garantire la tutela degli ultimi, dei fragili, dei senza speranza, di quelli che non ci vanno in cabina elettorale o se ci vanno, lo fanno svogliatamente segnati dalla vita e da un lavoro precario e senza futuro.
Di questo dissenso, di questa flebile luce, di questo segnale si dovrebbe fare tesoro, si dovrebbe capitalizzare, come direbbero quelli bravi e farne cavallo di Troia a cui affidare il compito di sconfiggere sovranismi, populismi e l’idea degli uomini soli al comando. E’ il momento di agire, di ricostruire i partiti, partendo dall’idea che non siano vuoti contenitori per mezze tacche in cerca di una qualche visibilità, ma spazi di confronto e di scontro per la formazione di una classe dirigente, giovane, capace e votata al sacrificio in nome del benessere del Paese. E’ una chiamata alle armi, dalla quale non si può sottrarsi, anche se si teme la delusione e la sconfitta, lo chiedono le future generazioni, lo chiedono i bambini che hanno il diritto di crescere in un mondo più equo, libero e felice, lo chiedono le donne per cui la vita è ancora una salita, gli anziani lasciati soli, gli ammalati senza cura e protezione, lo chiedono quelli che ancora vivono in casermoni ai margini delle città, in periferie sporche ed insicure.
Non si può lasciare che sia, senza metterci la faccia, occorre rimboccarsi le maniche ed arare un terreno che può e deve essere ancora fertile. Si deve scegliere da che parte stare e costruire i ponti spazzati via dalle bombe della ignoranza e del menefreghismo, lo hanno fatto le generazioni del dopo guerra spinti dalla volontà e dalla speranza, che costa provarci ora?
Troppe voci si levano a pontificare nel mondo della politica. Troppi sapienti, arroganti, opportunisti e falsi. Occorrerebbero uomini intelligenti, onesti, chiari nel parlare, difensori delle classi più umili. Alieni da ogni compromesso, capaci di affrontare l’incerto per un ideale.