Ricchezza e povertà: un divario sempre più ampio

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di Mario Aiello

Tanta retorica nella forma, ma altrettanta consapevolezza nel contenuto: “la società attuale sta creando dei mostri”.

L’apoteosi della catarsi sta nel fatto che con una mano ringraziamo mentre glielo lasciamo fare, l’altra invece è occupata a costruire, mattone dopo mattone, quella stessa società che ci vincola.

 Ci sono diversi tipi di mostri in verità, a seconda che si osservi la piramide dall’alto o dal basso. Ma almeno due tipologie, alla base, sono enormemente più diffuse. La manovalanza del sistema. La carne da macello.

Non si fa più fatica a comprendere l’assunto, ormai dogmatico, che vede crescere inesorabilmente il divario sociale tra “ricchi” e “poveri”. Il rapporto è inversamente proporzionale, dominato algebricamente con esponenziali da capogiro. Mettiamola così: se non sei ricco, sei quasi sicuramente povero. Ma consolati del fatto che ogni tot nuovi poveri, c’è un ex ricco in meno. Al sapore di quell’antico detto “mal comune mezzo gaudio”, dal forte retrogusto amaro.

Non solo, tra le due categorie sta aumentando la distanza in termini assoluti. Un vero e proprio vuoto di spazio, reso impossibile da colmare.

Qui – dove i meccanismi socio economici del mondo occidentale stanno plasmando le fondamenta per il formulato che indica esistere un solo prototipo di essere umano funzionale, quello vincente e determinato – si definiscono le due tipologie di mostri in analisi. Entrambe condividono la stessa matrice: distorsione in chiave moderna e asservita dell’oltre-uomo, ora più che mai traducibile con lo stucchevole modo fumettistico “super-uomo”. In questa realtà le persone sono totalmente svuotate della loro umanità, se queste non implicano doti straordinarie, e le uniche caratteristiche valevoli di sottolineatura restano quelle propedeutiche alla produttività. A 360 gradi. Compreso il consumo.

 Da un lato i promotori, dall’altro i produttori. Entrambi schiavi senz’anima dello stesso modus vivendi impostogli dall’alto.

I promotori sono coloro che vengono ininterrottamente indottrinati sulla costituzione di un sé superiore, con ideologie volte a sottrarre ogni emotività, ogni debolezza, ogni assuefazione, al fine di plasmare un essere che sia convinto, oltre ogni ragionevole e irragionevole dubbio, che “tutto dipenda da sé”; “che volere è potere”; “che il duro lavoro porti sempre e comunque a risultati”; “che bisogna crescere una generazione di guerrieri, perché tempi facili generano uomini deboli”; che è normale, anzi previsto, “annientarsi per raggiungere un obiettivo”. Anteposto che quell’obiettivo ce l’abbiano; che si debba avere un desiderio, sempre e comunque, altrimenti non si possono coltivare passioni – passioni che devono avere uno scopo produttivo, mai fine a se stesse – e senza passioni non sei funzionale, sei un peso o un parassita del mondo. Un reietto che a questo punto ha una sola via di fuga. Cioè diventare un produttore.

In genere questo fenotipo tende a collocarsi sul gradino appena più alto del podio dei mostri. Tendenzialmente atti ad auto magnificarsi o valutarsi “migliori” di ciò che sono. Sono quelli in perpetuo divenire. Un movimento inarrestabile di “crescita”, quasi esclusivamente professionale. Quelli che studiano non per conoscere, erudirsi, saziare la sete di sapere, no, ma per ampliare le competenze lavorative. Allungare la propria lista di skills curriculari, e accumulare vantaggi per la competizione spietata che è il raggiungimento di un ruolo chiave nello schema della società. Gli avanzi marci lasciati dai “ricchi”. Pubblico o privato. Di grande o piccolo interesse. Nulla cambia, se non l’anestetizzata ambizione.

Gli altri sono quelli che per tanti motivi non riescono ad attuare una crescita di conoscenze e restano nei bassifondi. Indottrinati anch’essi, costretti e vincolati a ben altra forma di schiavitù. A questi la società sta riprogrammando le elementari funzioni vitali, col solo scopo di rendere digeribili lavori lesivi della dignità umana. Non esclusivamente per mansione, ma anche se non soprattutto per orari di lavoro, paghe e mobilità. Il mantra risulta pressappoco il seguente: “devi formarti senza sosta per lavori diversi, che nemmeno ti piacciono, perché una pedina senza credenziali non ha scopo. Devi lavorare ovunque, in qualsiasi condizione e per giornate sempre più lunghe, perché se non lo fai sei un fallito”. A questi stiamo anche togliendo il diritto a lamentarsi. Perché? Perché a quanto pare bisogna anche ringraziare.

La cosa triste è che sia tutto vero: schiere di zombie inumani, pedine sacrificabili e facilmente sostituibili posizionate sulla filiera della produttività. Corpi di carne e sangue privati di ogni sfumatura della persona. Ad immagine e somiglianza di automi troppo costosi da costruire e manutenere, e in virtù di questo impedimento, coltivati in massa per sopperire la qualità con la quantità. Matrix. Vi ricorda qualcosa?

Sottrai alla persona le possibilità di essere funzionale nel contesto sociale, e un po’ alla volta la impoverisci di ogni cosa. Fino svuotarla del tutto e trasformarla in un guscio vuoto. Inutile. Infelice. Inadatta. Insoddisfatta. Un rifiuto che non può essere riciclato. Solo eliminato.

 

Mi chiamo Mario Aiello e sono un giornalista pubblicista. "Musicante" e "scribacchino" per passione, perennemente soggiogato dal richamo dell'arte in senso lato. Da diversi anni scrivo articoli di approfondimento nel campo degli spettacoli, della musica e della cultura più in generale. L'altra faccia della medaglia è invece dedita all'analisi politica, oltre che alla cronaca di attualità e costume. Insomma, un pastrocchio.