di Maria Rusolo
Nessuna donna può definirsi libera se non possiede e controlla il proprio corpo. Nessuna donna può definirsi libera fino a che non sceglie coscientemente se vuole oppure no essere una madre.
Il destino di una donna si delinea nei libri di favole che legge da bambina, il principe azzurro che arriva a salvarla e poi ” vissero felici e contenti” nel castello di lui dopo aver sconfitto ogni strega cattiva nei paraggi. L’amore è nelle mani e nella spada di un uomo, ma se come me avevi altre letture, allora tutto si sviluppa in maniera completamente differente.
Se dinanzi agli occhi avevi una madre ed un padre che litigavano su tutto, a partire dalla lavatrice e sino ad arrivare al ruolo della Russia allora, il principe azzurro volevi essere tu. Questo non significa che da grande non avrei voluto poi avere un compagno o una famiglia, ma sapevo che quella non era l’unica opzione e quando provavo a scriverne nei temi a scuola allora le cose diventavano ancora più difficili. Non era normale quel tipo di approccio, non era normale che una madre parlasse del dolore del parto e della volontà di non essere più incinta, perché un figlio non è solo l’odore caldo del latto e le risate al mattino quando apre gli occhi, ma anche la responsabilità di avere patemi ed angosce per tutta la vita.
Non mi ha mai nascosto la verità mia madre, e certo che mi ha detto che avrei potuto scegliere e che se fosse tornata indietro forse lei avrebbe voluto avermi ugualmente, ma che per me sperava una vita in cui avrei potuto scegliere, in cui il mio posto, la mia etichetta, il mio status avessi potuto sceglierlo io, senza imposizioni sociali o familiari. Non mi ha trasmesso l’odio per la maternità, per carità, così come mi ha spiegato che esistono le matrigne, così come mi ha spiegato che la maternità o meglio l’essere genitori appartiene a due esseri umani, indipendentemente dal sesso, che bisogna dividere i compiti, ma che avere una creatura che cresce non è tutto rose e fiori.
Il resto è frutto di una mia convinzione, epurata da stimoli che venivano dal mondo esterno, sono io che ho deciso, sono io che ho avuto e voluto fortemente altre priorità. Nella mia visione del mondo non esiste un istinto materno, non esiste che si ami qualcuno perché nasce dalle nostre viscere, l’amore e la cura sono frutto di un apprendimento e di un impegno costante, di un confronto con la parte più complicata che è in noi, è il risultato di una evoluzione umana che pone il nostro essere lontano dall’individualismo, l’Io subisce uno spostamento verso un noi. Non ero pronta, non sono mai stata pronta a quella sfida, alle doglie, al peso, alle nausee, non ho mai guardato le altre donne con le carrozzine o con il pancione con invidia, o con odio, o addirittura con una sorta di commiserazione, non ho mai giudicato quelle che martoriavano la propria carne perché volevano disperatamente partorire, o non ho mai pensato con sufficienza a chi lottava per adottarlo un figlio.
Sono tutte scelte che non devono essere toccate in alcun modo, nessuno può essere giudice di qualche presunta supposta superiorità o di qualche visione assoluta, quando si tratta di una sfera umana tanto personale. Le donne devono essere libere di scegliere cosa essere, come esserlo e quando esserlo, nessuno può imporre, nessuno può anche solo comprendere il sentimento di un’altra, quello che vorrei è che davvero però non fossero nella condizione di dover rinunciare. Io ho sempre pensato che non avrei potuto conciliare la mia ambizione con la gestione di una famiglia, e non ne ho sofferto, non ne soffro neanche oggi a 47 anni, non mi sento monca, o menomata, o mancata, o donna a metà, ma se altre volessero, bisogna trovare il modo di consentire alle donne di perseguire tutti i propri sogni senza rimpianti e senza rinunce.
Perché sento il bisogno di condividere con voi tutto questo? Beh, perché nell’ascoltare delle donne privilegiate che parlano da un palco, ad un certo punto mi sono persa ed ho pensato che se anche il fine fosse giusto, il mezzo fosse confusionario e non adatto a raggiungere l’obiettivo e mi sono ricordata di una giovane e bellissima Loredana Bertè che vestita di pelle, indossando un pancione negli anni Ottanta avesse in fondo raccontato meglio di chiunque altro la maternità ed il ruolo della emancipazione femminile.
Non mi manca essere madre, non ho fatto compromessi con me stessa, guardo al mondo come ad un posto in cui conta sentirsi in pace con se stessi e gli altri e mi impegno per renderlo un luogo sereno per i figli di altre donne, forse non è abbastanza? Non lo so, a me pare che sia comunque un piccolo passo.
“La libertà è un dovere, prima che un diritto è un dovere. Ma il niente è da preferirsi al soffrire? Io perfino nelle pause in cui piango sui miei fallimenti, le mie delusioni, i miei strazi, concludo che soffrire sia da preferirsi al niente.”