di Andrea Carpentieri
Erano gli anni dell’irripetibile: lo pensavo, ne ero fermamente convinto, lo temevo. Guardandoli retrospettivamente, anzi, tante volte ho pensato fossero stati, a prescindere dai trionfi dell’epoca d’oro, <<i migliori anni della nostra vita>>. Quel Napoli, il Napoli di Sarri e dei piccoletti, ci aveva emozionato, ci aveva fatto piangere lacrime di gioia orgogliosa e di commozione padrona, ci aveva regalato un sogno: un sogno purtroppo turbato a Milano, svanito a Firenze.
Quel Napoli, il Napoli dell’indimenticata stagione 2017-18, fu scippato, derubato, depredato, perché non vinse pur essendo stato più bravo, sul campo, di coloro ai quali arrise una vittoria lercia e laida. Eppure, a me quel Napoli non dava la sensazione di essere, semplicemente, più forte degli altri: era più bello, era qualcosa di magico, ma mi sembrava che si stesse compiendo un miracolo, che Davide ce la stesse facendo contro Golia.
Davide, però, era appunto Davide, Golia era ancora, almeno ai miei occhi, il gigante invincibile, quello che solo un colpo di fionda secco e un po’ casuale, magari guidato dalla mano di un Dio non ancora (s)vendutosi, può atterrare.
Quel Napoli è stato efficacemente definito <<la grande bellezza>>: la sua essenza, la sua cifra calcistica, stava nell’essere bello, più che nell’essere grande, che nello sport significa anche <<essere vincente>>.
Dopo cinque anni, finalmente, il lutto può davvero dirsi elaborato perché siamo andati oltre: molto oltre, infinitamente oltre, stupendamente oltre. <<La grande bellezza>> sarriana, che resterà comunque memoria preziosa, non tormenterà più i nostri ricordi (da) incompiuti perché finalmente il Napoli l’ha portata a compimento, l’ha completata, l’ha trasformata in <<bella grandezza>>*.
La squadra guidata da Luciano Spalletti è certamente bella: bella da vedere nell’estetica perfezione di tanti suoi schemi, nelle intuizioni dell’allenatore, nei movimenti dei calciatori.
Quella bellezza che ai tempi di Sarri rappresentava la sostanza del Napoli, da sostantivo si è fatta aggettivo: il Napoli del 2018 era <<bello>> in modo <<grande>>, quello di Spalletti è prima <<grande>>, poi anche <<bello>>. Non si tratta di prodursi in sofismi o di giocare con le parole, no: una squadra che sia soprattutto <<bella>> può stordire, lasciare segni indelebili e ricordi incancellabili; una squadra che sia prima di tutto <<grande>> invece, domina e, soprattutto, VINCE.
La squadra della famelica voglia di Osimhen, del cristallo duro come diamante venuto dalla Georgia, della sagacia di Lobo, della illogica razionalità del polacchino; la squadra di Anguissa, tutto muscoli, cuore e piede educato, del professore Mario Rui e del bionico capitano; la squadra del portiere ritrovato, di <<The Monster>>, della materia preziosa Macedone sgrezzata e finemente cesellata, del Cholito uno di noi…La squadra di Spalletti, per farla breve, non sembra un miracolo, la squadra di Spalletti è, semplicemente, più forte perché regala ogni volta momenti di dominio sfacciato, sfrontato, arrogante, un dominio però che non genera astio – se non in una manica di frustrati irrisolti.
Quel gruppo di cannibali regala un dominio che, piuttosto, tanti ammirano, che fa strabuzzare di stupore gli occhi di chi tifa per altre squadre, che inonda di lacrime innamorate quelli di quanti vivono <<di sole e d’azzurro>>.
Ormai è un conto alla rovescia, ma tutto è pronto, NOI siamo pronti.
Siamo pronti per salutare per sempre il ricordo di una squadra da <<ora o mai più>>, pronti per abbracciare, eroici vincitori, ragazzi che potrebbero aprire un ciclo.
Siamo pronti, insomma, per godere gli ultimi istanti della metamorfosi della grande bellezza in bella grandezza.
Siamo pronti per vincere.
* so che Internet e i social sono una giungla senza regole, ma spero che almeno su questa idea, se non è stata già tirata fuori, mi si lasci il copyright.