di Nicoletta Lucheroni
Non scrivo da un bel po’.
Non per mancanza di idee, al contrario. In questi anni bui di covid, di guerra, di crisi economica, di morti in mare, di nulla politico, le idee si affollano in testa, si incastrano tra i tasti del PC e le dita non riescono più a dar loro un senso. Un pomeriggio, però, mi imbatto in una serie Netflix coreana: “The glory”. E mi tornano in mente e tra le dita argomenti che sento molto: la vendetta e il perdono.
Sì, il tema centrale di questa serie è la vendetta. È una storia di bullismo scolastico estremo, di torture fisiche e psicologiche quotidiane, di solitudine, di degrado, di prevaricazione e profonda ingiustizia sociale.
La protagonista – povera in una scuola di viziati e annoiati figli di papà – dopo anni di sofferenza, si arrende e sparisce. Ma vota la propria vita alla vendetta contro tutti quelli che l’hanno umiliata e che non sono intervenuti per aiutarla. Il rancore profondo la tiene in vita, la trasforma – da vittima impaurita – a donna sicura e determinata. La sua metamorfosi, gli studi conclusi con ottimi voti, la carriera, il benessere economico ottenuto sacrificando tutto, sarebbero già vendetta ma non le basta. Non può perdonare, non può dimenticare.
Le cicatrici fisiche e psicologiche prudono ancora a ricordarle quei volti, quei nomi, quel dolore. E con la pazienza del ragno, torna, dopo diciotto anni, nelle vite dei suoi aguzzini. E ci torna da carnefice chirurgico. Precisa, delicata, spietata e tagliente. La vendetta. Quante volte l’ho sognata. Quante volte l’ho immaginata. “Devi andare oltre”, “Sono passati anni”, “Il perdono è la soluzione”. Ma io non sono d’accordo. Il perdono è una comoda uscita.
Posso perdonare molto ma il male gratuito, studiato, il voler prevaricare e umiliare, non li posso perdonare. Non li posso e non li voglio perdonare. Non è giusto nei confronti delle vittime. Ho sempre detto che non avrei perdonato e da portatrice sana di rancore, sono assolutamente dalla parte della vendicatrice. Il dolore causato agli altri di proposito va pagato. E va pagato caro. E dopo si può essere felici. “Così felici da poter morire”