di Giosuè Di Palo
A meno che non si viva come degli eremiti lontano da tutto e da tutti, in un rifugio su una montagna sperduta nel mondo e senza alcun contatto con la civiltà ed il mondo esterno, è ormai notizia nota a tutti che sia vietata nel nostro paese la pratica di trascrizione nel registro anagrafe dei figli nati da famiglie omogenitoriali.
La situazione attuale sarà dunque la seguente: se un figlio è nato da una madre e una madre il funzionario anagrafe sospenderà la procedura di trascrizione e cercherà di capire chi sia la madre biologica del figlio, registrando solo lei, richiedendo all’altra madre di fare domanda di adozione speciale davanti a giudice il quale, poi, deciderà.
Nel caso di due padri la situazione si fa ancora più ingarbugliata in quanto, da quel che se ne deduce, si cercherebbe di voler riconoscere la genitorialità comunque alla madre naturale, anche nel caso in cui il solo legame che intercorre fra quest’ultima e il nascituro è biologico.
Il tema sul quale si sta spostando il dibattito, però, lungi dall’essere inerente al tema trascrizioni di certificati di nascita -come dovrebbe essere – si sta spostando radicalmente verso il tema della gestazione per altri, il tanto temuto “utero in affitto”, definito da molti esponenti politici come una barbarie senza precedenti, un’abominio della natura, una pratica che toglierebbe diritti alle donne, viste come semplici contenitori generatori di figli venduti come carne da macello.
Il presidente della commissione cultura, Federico Mollicone, ha definito addirittura la gestazione per altri “peggio della pedofilia”.
Accostamento tanto folle quanto indecoroso che è sintomo, ancora una volta, di ignoranza, di mancanza di conoscenze sul tema, ma anche di una profonda distanza dalla realtà.
Realtà che è ben diversa da quella che si sta tentando affannosamente di raccontare e che riguarda figli di coppie ormai già nati, inseriti già in un contesto familiare stabile, che piaccia o meno.
E a nulla serve certa propaganda, di destra o sinistra che sia, che tenta di non riconoscere validità a figli nati in modo diverso e che vivono con famiglie considerate diverse da quella tradizionale.
Decidere di punto in bianco di non riconoscere più figli nati da coppie omogenitoriali, in Italia, significa che quello stesso bambino che si cerca di tutelare lo si lasci sprovvisto di qualsiasi tipo di tutela, per qualunque evenienza.
Significa sottoporlo ad ulteriori discriminazioni.
Significa non permettere ad entrambi i genitori di venirlo a prendere a scuola.
Significa che se, malauguratamente, il genitore biologico venisse a mancare il figlio si ritroverebbe di punto in bianco orfano, anche se l’altro genitore è presente, ma non riconosciuto dallo Stato.
Ecco, quando si parla di “best interest of the child” ci si dovrebbe riferire, appunto, alla tutela del minore, del suo migliore interesse.
Ma in questo caso a tutto si guarda tranne che al suo migliore interesse. Si cerca, ancora una volta, di portare avanti una battaglia ideologica che nulla ha a che vedere con la realtà e che rischia di pregiudicare in modo irreversibile la vita di tante persone, di tante famiglie che esistono e andrebbero supportate e tutelate come lo si fa con ogni altra famiglia.
Sarà che forse sono io ad essere troppo aperto mentalmente, ma qui si tratta di principi di base del vivere civile.
Una famiglia è, e sarà sempre, laddove c’è amore e comprensione.
Una famiglia è, e sarà sempre, il rifugio dove poter tornare e sentirsi a casa. E mi preme ricordare al nostro Governo che a nulla servono prese di posizione “di bandiera” e profondamente ideologiche se il pensare collettivo è mai come ora distante da ciò.
Il mondo reale non cammina, ma corre.
Inciampa tante volte, si arresta, ma poi si riprende, sempre.
Si può cercare di rallentare un processo, di mettergli i bastoni tra le ruote, ma se di base c’è una buona forza di volontà e un pensiero collettivo comune questo troverà sempre il modo di affermarsi.