di Pasquale Lucchese
Il calcio è il metronomo che regola l’esistenza del Tifoso, scandendone i tempi. Il calcio ha un inizio, una lunga e decisiva parte centrale, un finale con i suoi verdetti e una (apparente) fase di stasi. La fine di una stagione calcistica trascina con sé emozioni contrastanti, connotate da una miriade di sfumature. C’è chi esulta e gioisce, c’è chi si rammarica e piange.
C’è qualcosa però che accomuna tutti i Tifosi: un profondo senso di vuoto e la consapevolezza che per qualche interminabile settimana si resta orfani! Orfani di un pallone e di una Mag(l)ia che aiutano a riempire le nostre vite. Va da sé che il Tifoso in questione è un Tifoso che, semplicemente e senza la retorica di “tifosometri” vari, antepone quei 90 minuti + recupero a tutto o quasi, indipendentemente dalla Fede che abbraccia, dalla classifica, dalla categoria.
Un lungo preambolo solo per edulcorare e ingannare la realtà: da sette giorni sono senza Napoli! Con 43 primavere alle spalle, alle sensazioni di un campionato finito sono chiaramente abituato; non altrettanto (ahimè-noi) ad una stagione conclusa in vetta alla classifica! Il 4 giugno 2023 è terminato il campionato più godurioso, bello e in parte inaspettato che abbia mai vissuto in età “matura” (gli altri due scudi sono giunti in età fanciullesca)!
Non è un caso che quel senso di vuoto e inquietudine si manifesti con maggiore intensità: una settimana fa il 2-0 interno contro il Doria ha segnato l’epilogo di un campionato-cesura. Abusando oltremodo di una qualche immeritata e improvvisata licenza filosofica e volendo restare nel perimetro del tempo, mi sovviene il concetto eracliteo del divenire! Mi rivedo in ogni mia quotidiana azione, dall’andare a lavoro al piacevole passeggiare pomeridiano per la città che mi ospita, con un solo pensiero e brivido fisso: il tricolore! Più si avvicina e più avverto il sopraggiungere di un meraviglioso spartiacque. La decade a cavallo tra fine aprile e il 4 – 7 maggio è una intima e personale sospensione spazio-temporale con due mistici “saliscendi”.
Il primo si rivela ulteriore tappa di avvicinamento, il secondo segna la rottura definitiva: per l’ultima volta “scendo” a Napoli da “biscudettato”, per la prima volta rientro “su” da “triscudettato”! Il Napoli, per la terza volta campione d’Italia, finalmente non si bagnerà (più) nello stesso potamos/fiume/mare. Eraclito e il suo celebre Panta rei (Tutto scorre), la natura come un continuo passaggio tra essere e non essere forzatamente e inopinatamente prestati al calcio e ad una sua espressione di Tifo!
A proposito di Tifo e di narrazione su quello partenopeo considerato il più bello e passionale. Sarò breve e spietato: il Tifo è sacralità, una delle ultimissime espressioni moderne di Legame istintivo e primordiale, preferibilmente (ma non necessariamente) con le proprie origini-terra. Una simbiosi che andrebbe vissuta su due livelli intercambiabili, uno individuale-intimo e uno collettivo-catartico. I numeri e le immagini parlano chiaro: per anni il San Paolo ha mostrato larghi spazi vuoti nonostante gli ottimi piazzamenti ottenuti. Certo non si vince(va) il tricolore, c’erano stati mercati invernali deludenti, ammutinamenti, scudetti persi in alberghi, 23 “maggi”, il presidente era/è antipatico-romano-non amante della pizza napoletana-cafone ma nulla giustifica il disamore verso la propria Maglia-squadra, peraltro da oltre un decennio protagonista in positivo sulla scena nazionale ed europea.
La stragrande maggioranza degli speciali prodotti da Dazn e dalle varie tv (Rai in primis) con l’esaltazione spasmodica e patetica del tifo napoletano, con la solita sfilza di vip che pontificano sulla napoletanità come unicità e sul (t)ifoso napoletano come il più caldo, mentono sapendo (probabilmente) di mentire. E ci danneggiano mostrando una Napoli ostaggio di sé medesima (festeggiamenti infiniti e scene surreali nel migliore dei casi) ma soprattutto illudendoci di essere qualcosa che attualmente non siamo.
Da anni il San Paolo è una opaca rappresentazione di ciò che è stato in passato (fino a poco oltre il primo decennio del nuovo millennio). Anche in un anno simile (5 volte presente dal vivo e 14 volte “costretto” alla tv), con la sola eccezione del colore tornato nelle ultimissime sfide, il “contributo canoro” non è stato assolutamente all’altezza. Le responsabilità dei gruppi ultras sono tante ma non spiegano da sole questa involuzione. Di base c’è un allontanamento illogico (considerando la nostra storia e gli ultimi 15 anni), nonché un rapporto che non appare realmente viscerale ma più frutto di protagonismo e voglia di apparire, ancor più nella vittoria.
Da sempre ci consideriamo una piazza alla stregua delle grandi, bramosi di meritati successi. Forse questa legittima richiesta, unita all’epoca dei social e alle millemila trasmissioni digitali e virtuali con millemila esperti e soloni ci ha fatto perdere di vista la realtà e ancor più il Fine del nostro Tifo: (il) Napoli.
Mi duole tantissimo dirlo: ascoltiamo e vediamo quanto fatto quest’anno dalle curve di Sampdoria, Milan e Roma; prendiamo appunti e soprattutto torniamo ad amare veramente e con purezza i nostri colori. Con lo scudo cucito sulla nostra Maglia e con un macigno in meno sul nostro petto dovrebbe essere più agevole…