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di Maria Rusolo
“La scoperta dell’uomo che i suoi genitali potevano servire come arma per generare paura deve essere annoverata fra le più importanti scoperte dei tempi preistorici, insieme con l’uso del fuoco e le prime rozze asce di pietra. Dalla preistoria ai nostri giorni, è mia convinzione, lo stupro ha svolto una funzione critica. Si tratta né più né meno che di un consapevole processo di intimidazione mediante il quale tutti gli uomini mantengono tutte le donne in uno stato di paura.”
Tutti si sono sbrigati a postare qualcosa in merito ai fatti accaduti a Palermo, video, mani con scritte ed hashtag, richiesta di pene più severe e di nuove leggi, soprattutto le donne che hanno un ruolo nelle istituzioni e che poi votano a favore del reato universale per la Gap, hanno preso la parola, parlando di donne, di parità di genere, di nuovi interventi normativi.
Ho sentito invece il bisogno di tacere, per non mescolarmi a questa massa di inutili sciocchezze e di affermazioni ammantate da una banale e soffocante ipocrisia, che a mio avviso ferisce quanto una violenza. Credo che sia giusto parlare di quanto accaduto con un rispetto assoluto per la vittima, cercando di evitare di rimestare a piene mani nella vita della ragazza, che facilmente passa per una che in fondo alla fine se l’è cercata. E già è di stamane l’ultima dichiarazione di un troglodita che ha invitato le donne a non ubriacarsi, pensate un po’ cosa si deve sopportare nel 2023 in una società che si definisce civile e culturalmente evoluta.
Nel rapporto tra uomini e donne, si recuperano le immagini e le considerazioni della supremazia fisica del maschio sulla femmina, gli stereotipi culturali del possesso, e dell’uomo che dona lo sperma e la donna deve stare ferma e ricevere. Nessuno ha mai sentito dire che anche nel rapporto matrimoniale la donna debba avere rapporti sessuali, come se fosse un obbligo a cui non può sottrarsi in alcun modo, come se convivesse con un compagno vittima di ormoni e che ha il pieno diritto di vedere appagato il proprio bisogno. Quello che lascia immobili oltre alla violenza fisica, alla manipolazione, all’abuso che si realizza in ogni singolo episodio e nella vita quotidiana ai danni delle donne è che nessuno si interroga sul fatto che la modalità oggi, di creare un gruppo per eseguire un singolo sacrificio recupera la tecnica da quelle che sono le pratiche realizzate durante l’occupazione di un territorio, durante la guerra.
La Maraini si è occupata del tema ed ha ben spiegato che durante le invasioni, al vincitore non bastava bruciare e distruggere, fare prigionieri, occorreva stuprare, perché solo in questo modo annientava completamente ogni anelito di vita e di speranza per il futuro affermando l’esclusivo potere su uomini e donne. Quindi i punti su cui riflettere prima di ogni altra considerazione sono due, da una parte la necessità di farsi forza con il branco per poter prevaricare ed agguantare schiacciando una donna e dall’altro la necessità che di questa oscenità resti una prova tangibile, un video da cedere, far girare sul web per la buona pace dei padri di famiglia.
L’ipocrisia nell’approccio alla violenza è essa stessa violenza, non solo perché ci si affida ad un decalogo pronto all’uso che vive la donna ancora come un essere potenzialmente fragile, come una gazzella che per quanto possa correre sarà sempre preda, ma anche e soprattutto perché alla donna viene insegnato sin da bambina a non provocare il maschio, a non generare attenzione, a non andare con gli sconosciuti, a non esporre il proprio corpo, a non bere, a non fumare, a non mangiare per essere seduttiva ma nei limiti, a non fare lavori pericolosi, insomma a restare in un angolo. Non c’è comprensione, non c’è compassione, ma non c’è uguaglianza nei rapporti. Le donne spesso vittime di violenza, di abusi, di maltrattamenti, di molestie non denunciano, per timore di essere considerate complici e soprattutto per sfuggire alla gogna delle aule di giustizia ed oggi ahimè, anche dei spazi social, dove l’immondizia travalica ogni umana sopportazione.
Non c’è parola che possa reggere a questo abbrutimento se non si torna nelle aule della vita e si realizza quella che è e deve essere prima di tutto una educazione sentimentale che parta dalla differenza di genere per affermare una eguaglianza nelle relazioni e nei ruoli. Molto può essere compiuto anche nelle aule di giustizia, dove chi scrive sentenze forse, potrebbe fare più attenzione anche alle parole che usa, anche in quel caso si trasmette un messaggio importante che può avere delle precise ripercussioni. Il discorso è complessivo e non può essere vissuto con un approccio di pena e punizione, certo sono importanti, ma punirne uno per educarne 100 non ha mai ottenuto ottimi risultati e la storia in tal senso è ricca di esempi. Castrare o flagellare in pubblica piazza serve ad appagare solo i bassi istinti delle bestie che vivono tutto in una logica di dominio, occorre invece misurare le parole, parlare con cognizione di causa ricordandosi che in ogni campo si è esempio e si può diventare modello positivo di comportamento.
Nello stupro la donna non è più libera di dare o di non dare, viene presa. Ma è solo la donna che può dire “prendimi”. Se non lo dice, se non si apre, può solo essere lacerata. Lo stupro è una lacerazione della volontà.