di Alfredo Carosella
“Non te ne accorgi ma da qua se ne vanno tutti” cantava Caparezza nel 2011 e, mentre continuiamo a discutere su quanto abbiano influito “Gomorra”, “Mare fuori” e la pornografia sugli ultimi e terribili fatti di cronaca, c’è chi muore, chi continua a gridare il “fuitevenne!” di eduardiana memoria e chi se ne va sul serio. Sono 5,8 milioni gli italiani residenti all’estero, senza contare coloro che non si iscrivono all’apposita anagrafe dopo aver trascorso oltre 12 mesi lontano dal paese di origine.
Torniamo ai fatti di cronaca: il riferimento è all’omicidio del giovane artista napoletano avvenuto per futili motivi (come sempre ci sarebbe da chiedersi: ne esistono di validi?) e agli ultimi stupri avvenuti a Palermo e Caivano.
Per quanto riguarda l’assassinio di Giovanbattista Cutolo c’è chi se l’è presa con la serie televisiva intitolata “Mare fuori” che starebbe scalzando “Gomorra” quale scuola di alta specializzazione per aspiranti camorristi. Chissà se il diciassettenne indagato per l’omicidio ha mai guardato la televisione. Quando aveva solo tredici anni si era reso protagonista di un tentato omicidio ma era stato dichiarato non punibile proprio per la “tenera” età che, in certi casi, di tenero non ha proprio nulla.
Era una mina vagante contro la quale sarebbe potuta finire l’esistenza di ognuno di noi. Perché nessuno lo ha fermato? È ciò che ci chiediamo ogni volta che viene uccisa una donna che ha denunciato di sentirsi gravemente in pericolo. Eppure, in quei casi, nessuno si sogna di dare la colpa alla favola dell’uxoricida Barbablù.
È ciò che si chiedono i genitori dei bambini americani che vengono uccisi a scuola da serial killer giovanissimi. Qualcuno può pensare all’influenza negativa di “Arancia meccanica” (un film del 1971) ma il dubbio passa quando si riescono ad ascoltare le “motivazioni” degli assassini che sono estremamente futili e a volte non ci sono affatto.
In ogni caso non si capisce perché solo a Napoli i ragazzi dovrebbero essere influenzati da alcune serie televisive che parlano di camorra. E perché nessuno trae spunto da don Matteo e dalla caterva di polizieschi che ci propina la televisione?
Per quanto riguarda lo stupro di Palermo compiuto ai danni di una donna da sei maggiorenni e un minorenne, uno dei carnefici ha dichiarato: “Sembrava un film porno”. Qualcuno dovrebbe provare a spiegargli che non è affatto così ma, nel frattempo, persino Rocco Siffredi – divo nostrano di una delle industrie più fiorenti del nostro Paese – ha dichiarato di essere disposto a bloccare il suo sito internet. Dice di essersi reso conto che i giovani hanno una percezione distorta del porno perché non sanno che gli uomini devono iniettarsi delle “sostanze micidiali” per poter fornire certe prestazioni e le donne devono essere anestetizzate per non sentire dolore.
Un tempo sembrava diverso: c’era Cicciolina che fu persino eletta alla Camera dei deputati nel 1987; c’era John Holmes, le cui gesta erotiche furono cantate da Elio e le storie tese (Una vita per il cinema, 1987). Soprattutto, fino a venti anni fa chi voleva accedere alla pornografia doveva armarsi di faccia tosta per acquistare in edicola una rivista specializzata nel settore o entrare e uscire da un cinema rigorosamente vietato ai minori di diciotto anni. Oggi il 90% dei ragazzi tra gli 8 (otto!) e 16 anni consuma pornografia in Rete. L’età media del primo accesso è appena di 11 anni.
Ecco, quindi, un tema spinoso: perché un bambino di otto anni ha uno smartphone? Perché viene lasciato solo e, spesso, può accedere a qualunque tipo di contenuto?
Il discorso si può allargare anche alla fabbrica di fake news che possono diventare alcuni social network, al messaggio distorto che possono offrire alcuni tiktoker che accumulano consensi e denaro sfoggiando banalità e volgarità. Far ridere la gente parlando in modo sgrammaticato è un’idea piuttosto vecchia, si pensi a Pappagone portato in scena da Peppino De Filippo nel 1966, eppure sembra funzionare ancora nonostante la levatura ben diversa dei novelli “attori”.
A Caivano lo stupro continuato di due minorenni da parte di un branco di sei ragazzi ha dinamiche diverse ma altrettanto raccapriccianti, delle quali si sta occupando ampiamente la cronaca. Il teatro dell’orrore è stata la struttura di una piscina abbandonata.
Solitudine, rabbia, dispersione scolastica, ignoranza, degrado, errata percezione della realtà, desiderio di raggiungere la notorietà e il benessere economico con il minor sforzo possibile, illegalità diffusa, mancanza di controlli, scarsa certezza della pena: sono tanti gli ingredienti che compongono un mix davvero letale. Aumentare la presenza delle forze dell’ordine può essere un modo temporaneo di affrontare un’emergenza ma non rappresenta la soluzione. Occorre agire attraverso la scuola, i servizi sociali, la formazione professionale, l’applicazione delle leggi, e tentare di sottrarre i ragazzi al degrado. Altrimenti non ci resterà altro che prendercela con “Don Matteo” o andare ad aprire un ristorante in Costa Rica.