di Maria Rusolo
Custodisci bene dentro te stesso questo tesoro, la gentilezza. Impara a dare senza esitazione, come perdere senza dispiacere, come acquisire senza grettezza.”
Il mondo cambia sopra la nostra testa e sotto i nostri piedi, ma noi indifferenti vaghiamo preda della volontà di non lasciarci toccare per paura o per orgoglio. Scriviamo con la fretta di chi fa i compiti a casa, per correre a giocare a pallone con l’amichetto, vomitiamo la nostra bile, il nostro disprezzo, perché fermi sull’argine della strada non sappiamo più attraversare senza essere travolti dal nostro malcontento.
Ci hanno insegnato a restare fermi ad osservare le stagioni che passano, sempre uguali a se stesse, a non afferrare i nostri limiti e le circostanze, non vogliamo essere flessibili eppure, l’albero che sembra identico invece asseconda il vento per non lasciare che questo lo travolga, si piega quanto basta ma ha in se la natura della evoluzione, solo chi è sciocco non coglie quanta meraviglia ci sia in tutto questo. Ci sentiamo pietre, così convinti di restare uguali ed invece anche i sassi vengono plasmati dal tempo e dallo spazio, dagli agenti atmosferici, dai calci per strada durante un gioco di fanciulli.
Tutto invece dovrebbe essere messo in discussione, colorato dalle esperienze e dalle circostanze, non possiamo lasciare che i nostri limiti siano un muro invalicabile sul quale crescono rami che ci chiudono al diverso, all’altro.
Usiamo spazi pubblici per sfogare le nostre frustrazioni contro il potere, contro chi non ci piace, perché ricco, bello o estraneo, pensiamo che le parole, la cattiveria, il veleno siano lo strumento che ci realizza, ascoltiamo le cose distrattamente, presi dalla spavalderia del tutto uguale come rassicurante requiem delle nostre esistenze. Ed invece rendiamo le acque torbide, sporche di fango e sangue, incapaci di comprendere che di quell’acqua abbiamo bisogno per placare le nostre coscienze, grazie alle quali viviamo e camminiamo. Automi nascosti nelle nostre paure, continuiamo a pensare che il lupo sia nelle favole e che possa essere ucciso dal cacciatore, senza che vi sia alcuna punizione. Le favole che ci hanno accompagnato da bambini restano identiche a se stesse, con una principessa da salvare da una torre ed un drago da sconfiggere, ma il mostro che ci spaventava è dentro di noi, non fuori, e lo possiamo stendere solo ascoltando il calore del sole dell’avvenire e cambiando gli occhiali con cui guardiamo ciò che ci accompagna.
Il male non è una astrazione è qui tra noi, ma non deve farci paura, o forse si, ma cogliendo quella paura come un fiore che può crescere sano e forte e portare un po’ di gioia in una stanza in cui passa poca luce. Aprirci significa capire che non esiste solo l’immobilità, che esiste la progressione e la evoluzione della società, per come noi l’abbiamo immaginata in cui non esistono differenze se non nella misura in cui ci sentiamo più forti ad averle.
La verità è sopravvalutata e non ci rende liberi, muta, travolge ed a volte è cattiva e non ascolta il cuore, è il mezzo con cui ogni uomo nei secoli ha giustificato le proprie nefandezze. Ne esistono di molte e sfumate ed in quelle sfumature che ci dobbiamo riconoscere. Bianco e Nero non esistono in quanto separati, ma in quanto combinazione della distanza, siamo noi a cambiare il finale anche di un racconto, nulla è già predeterminato, nulla è assoluto. Il relativo, l’opinabile è oggi la vera rivoluzione.
“La vera realtà è fatta di bello e di laido, di opaco e di brillante.”