Il clima sta cambiando con impatti in tempo reale sull’ambiente. E si vede, è innegabile!
Naturalmente ci si riferisce a cambiamenti pluriannuali che modificano gli assetti della superficie del suolo alle quali l’uomo si è abituato ed adattato.
I cambiamenti misurati sono costituiti, ad esempio, dalle variazioni della temperatura, delle precipitazioni piovose, della composizione dell’atmosfera, ecc.
A quanti anni fa risalgono le misurazioni strumentali? A circa 200 anni fa!
Vi sono poi misure e dati relativi alle modificazioni climatiche ricavati da analisi geochimiche, palinologiche, sedimentologiche, ecc. che consentono di risalire a varie e molte migliaia di anni fa. Non sono misure precise come i dati strumentali, ma comunque forniscono elementi significativi per ricostruire la storia del clima e dell’ambiente.
Quello che è evidente è che il clima è continuamente cambiato naturalmente e senza i contributi di gas climalteranti antropogenici a scala pluridecennale e secolare.
Secoli fa la popolazione globale era nettamente inferiore, l’occupazione del suolo non era così invasiva come lo è attualmente e gli adattamenti alle modificazioni dell’ambiente erano subiti pragmaticamente.
A volte le popolazioni si spostavano cercando ambienti più ospitali invadendo territori già occupati oppure resisi disponibili in seguito alla variate condizioni ambientali condizionate dalle variate caratteristiche climatiche.
Oggi il clima che cambia fa notizia! Desta preoccupazioni! Innesca conflitti tra popolazioni! Innesca interessi, pure!
Innesca dibattiti circa il perchè il clima sta cambiando!
Coloro che dipendono dai dati strumentali solamente sono costretti ad individuare cause ed effetti nei circa 200 anni di dati disponibili.
In questi 200 anni vi è una straordinaria correlazione tra l’incremento delle attività antropiche e delle emissioni di gas climalteranti antropogenici. La “scienza” istituzionalmente accreditata capitanata da scienziati senza una spiccata formazione climatico-ambientale ha individuato nelle attività antropiche le uniche cause del cambiamento climatico attuale. Obbligatoriamente la scienza ufficiale si è battuta per fare diminuire queste emissioni antropogeniche nocive a scala globale che dovrebbero contenere gli effetti del cambiamento climatico che comunque continuerà ad evolversi per molte decine di anni anche se si annullassero le emissioni antropogeniche.
Quindi la scienza ufficiale si sta battendo per risolvere un problema alle potenziali radici: le attività antropiche che inquinano l’atmosfera ed alterano il clima.
All’inizio degli anni 90 del secolo scorso, incuriositi dalle stratigrafie geoarcheologiche dell’area mediterranea che evidenziano drastiche variazioni delle condizioni climatico-ambientali avvenute nell’area mediterranea negli ultimi millenni quando l’uomo non produceva gas climalteranti, iniziammo ad effettuare ricerche al fine di ricostruire la storia del clima e dell’ambiente in un’area che da sempre è ubicata al limite tra condizioni climatiche nettamente differenti: desertiche a sud e umide mediterranee nella parte centro settentrionale.
L’Area Mediterranea compresa tra 45° N e 31°N circa di latitudine, caratterizzata da condizioni climatico-ambientali differenti e da continua e diffusa presenza dell’uomo negli ultimi millenni, rappresenta una zona di importanza strategica per lo studio delle variazioni climatico-ambientali.
Il clima umido con temperatura media inferiore a 18°, precipitazioni piovose abbondanti (da circa 500 a circa 2000 mm) prevalentemente nel periodo autunno-primavera e superficie terrestre generalmente ricoperta da suolo e vegetazione caratterizzano la parte centro-settentrionale anche nelle aree non coltivate. Il clima subdesertico e desertico con temperatura media superiore a 18° con precipitazioni piovose molto scarse (da meno di 100 a circa 250 mm) e superficie priva di suolo e vegetazione caratterizzano in gran parte il margine più meridionale, a sud di 32° di latitudine.
L’area mediterranea, rappresentando la zona di confine tra zona umida e zona desertica è molto sensibile alle variazioni climatico-ambientali; infatti, spostamenti delle fasce climatiche verso nord o verso sud di pochi gradi di latitudine possono determinare drastici sconvolgimenti della superficie del suolo provocando, ad esempio, desertificazione in aree precedentemente caratterizzate da clima umido, o, viceversa, la trasformazione di zone desertiche in aree umide.
Le ricerche, stimolate dall’osservazione di numerose discontinuità fisiche significative, evidenti in molte sezioni stratigrafiche, sono state effettuate per gettare luce sul significato climatico dei differenti tipi di sedimenti accumulatisi negli ultimi 2500 anni che ricoprono numerosi siti archeologici, non influenzabili dagli interventi umani, di età compresa tra il Periodo Arcaico ed il Medioevo, ubicati a diverse latitudini e in aree geografiche con differenti condizioni morfoclimatiche (Ortolani et al., 1991; Ortolani & Pagliuca, 1993, 1994, 1995, 1996, 1997, 1998).
Le aree studiate sono comprese tra la Pianura del fiume Po (circa 45° N di latitudine) e il Nord Africa (Egitto) a circa 30-31° N di latitudine; le sezioni geoarcheologiche più complete e significative sono state studiate nelle pianure alluvionali e nelle dune costiere.
Lo studio delle sezioni geoarcheologiche ha consentito di individuare i seguenti importanti archivi naturali: – grandi pianure alluvionali costiere con insediamenti archeologici particolarmente diffusi a partire dal periodo della Magna Graecia (VIII secolo a.C.) caratterizzate da lunghi periodi di stabilità geomorfologica e diffusa antropizzazione e da brevi periodi di instabilità geomorfologica evidenziata da rapida aggradazione della superficie in seguito ad accumulo di sedimenti; – dune costiere caratterizzate da periodi di attività eolica con accumulo di sabbia, fino a notevole distanza dal mare, e da periodi di stabilità testimoniata da suoli sepolti; – spiagge con sabbie silicoclastiche interessate da progradazione durante i periodi in cui si ha aggradazione delle pianure alluvionali; – spiagge con sabbie organogene interessate da progradazione durante i periodi in cui le dune sono caratterizzate da attività eolica.
I sedimenti, datati archeologicamente e radiometricamente, sono stati studiati e correlati a scala mediterranea. Per ogni tipo di sedimento, accumulatosi in condizioni ambientali differenti dalle attuali, è stata ricostruita la condizione climatica e morfologica che ne ha consentito il deposito facendo riferimento alle aree in cui attualmente tali terreni si accumulano.
I nuovi dati geoarcheologici sono stati correlati con quelli evidenziati da varie ricerche paleoclimatiche, a scala globale, effettuate con differenti metodologie.
Pianure alluvionali
Le stratigrafie delle Pianure Costiere del Mediterraneo evidenziano la presenza di varie superfici antropizzate ed urbanizzate sepolte da vari metri di sedimenti alluvionali.
In particolare si ricostruisce la seguente successione stratigrafica, dal basso verso l’alto: superficie antropizzata dall’VIII al V sec a.C.; sedimenti alluvionali; superficie antropizzata dal IV sec a.C. al V-VI sec d.C.; sedimenti alluvionali; superficie antropizzata dall’VIII al XVI sec d.C.; sedimenti alluvionali; superficie antropizzata da XVIII sec ad oggi.
Dune costiere
Le dune costiere dell’Italia meridionale e del Nord Africa, a sud di 42° di latitudine N, sono costituite da sabbie silicoclastiche e da sabbie organogene (fig. 3). In esse è stato possibile ricostruire la seguente successione stratigrafica: sabbie eoliche; superficie antropizzata romana e preromana; sabbie eoliche; superficie antropizzata dal VI all’XI sec d.C.; sabbie eoliche; superficie antropizzata dal XIV secolo ad oggi.
I dati acquisiti mettono in evidenza che la superficie del suolo dell’Area Mediterranea, nelle ultime migliaia di anni, è stata significativamente interessata da varie modificazioni climatico-ambientali naturali con drastiche discontinuità che hanno interrotto lunghi periodi di stabilità ambientale. In base ai dati geoarcheologici, storici e archeologici sono state riconosciute modificazioni che si sono succedute ciclicamente, indipendentemente dalle azioni dell’uomo.
Discontinuità tra il VI e IV sec aC, tra il VI e VIII sec dC e tra il XVI e XVIII sec dC.
Tali discontinuità sono testimoniate dall’aggradazione delle pianure alluvionali avvenute improvvisamente, rapidamente (durata complessiva di circa 150-200 anni) e con conseguenze catastrofiche che hanno determinato la sepoltura delle superfici antropizzate ed urbanizzate con vari metri di depositi alluvionali. Contemporaneamente si è determinata una consistente progradazione delle spiagge. Vari dati paleoclimatici evidenziano che tali periodi sono stati caratterizzati da un raffreddamento e incremento delle precipitazioni piovose anche lungo le coste del Mediterraneo Meridionale. I dati acquisiti evidenziano uno spostamento verso sud delle attuali fasce climatiche.
Discontinuità tra il II e IV sec dC e tra l’XI e XIII sec dC.
In Sicilia, Salento e Africa Settentrionale si hanno evidenze della riattivazione delle dune costiere che determinano la sepoltura dei suoli che in precedenza avevano fossilizzato i depositi eolici più antichi. In Sicilia, nel Salento e nel Nordafrica è testimoniato l’accumulo di ingenti volumi di sabbie organogene che determinano una consistente progradazione delle spiagge. Le spiagge con sabbie silicoclastiche sono state interessate da marcati fenomeni erosivi.
Interpretazione dei dati stratigrafici
I nuovi dati evidenziano che le condizioni ambientali sono state simili a quelle instauratesi tra il XIX sec e l’attuale per lunghi periodi (in cui l’uomo controllava l’ambiente fisico) favorendo le attività antropiche e lo sviluppo socioeconomico (es. tra il 350 a.C. e il 100 d.C.) e che sono invece drasticamente peggiorate per brevi intervalli (in cui l’ambiente fisico condizionava l’uomo) determinando alternativamente la desertificazione delle aree costiere (es. tra il 100 e il 300 d.C. e tra il 1100 e 1300 d.C.) ed il ricoprimento del suolo antropizzato anche con vari metri di sedimenti alluvionali (es. tra il 520-350 a.C., tra il 500-700 d.C., tra il 1500-1700 d.C.). Negli ultimi 3000 anni hanno prevalso le condizioni climatico-ambientali simili alle attuali; a queste si sono intercalati ciclicamente brevi periodi con clima differente; in particolare, si sono alternate fasi freddo-umide e fasi caldo-aride della durata rispettivamente di circa 150-200 anni.
Com’è noto in letteratura, l’ultimo periodo freddo è chiamato Piccola Età Glaciale (1500-1850). In base ai nuovi dati geoarcheologici si evidenzia che i precedenti periodi freddi sono stati caratterizzati da condizioni climatico-ambientali simili per cui sono stati da noi definiti “Piccola Età Glaciale Alto medievale” (500-750 d.C.) e “Piccola Età Glaciale Arcaica” (520-350 B.C.). I periodi caldi noti sono relativi al Medioevo (1000-1300) e all’età romana (100-300 d.C. circa); essi hanno determinato invece desertificazione lungo le aree costiere del Mediterraneo (fino a circa 41-42°N), con accumulo di notevoli volumi di sabbie eoliche che hanno invaso le zone costiere ricoprendo i suoli antropizzati.
I risultati conseguiti con le ricerche innovative svolte nell’area mediterranea hanno messo in evidenza che l’ambiente è stato modificato ciclicamente, con periodo di circa 1000 anni, con differenti impatti in relazione alle diverse condizioni morfologiche e climatiche; in base alla naturale ciclicità millenaria l’attuale periodo climatico, iniziato intorno al 1750 circa e caratterizzato anche dall’inquinamento atmosferico provocato dall’attività antropica, rappresenta la transizione tra la Piccola Età Glaciale ed il prossimo incremento dell’Effetto Serra.
Come si vede, le condizioni climatico ambientali nell’Area Mediterranea non sono mai state le stesse a scala plurisecolare.
Il cambiamento climatico, è evidente che per la natura non è una novità.
In base ai dati strumentali climatici relativi a circa 200 anni, invece, appare una novità.
Da oltre 20 anni, pertanto, abbiamo evidenziato che le istituzioni si dovevano impegnare per attivare azioni tese a preparare l’ambiente per affrontare le condizioni che progressivamente si instaureranno nel prossimo futuro, oltre a fare in modo che le emissioni climalteranti siano drasticamente ridotte.
I nostri studi, è evidente, non ci hanno portato a negare il cambiamento climatico che è innegabile ma a sottolineare che la situazione è ancora più delicata in quanto ad un cambiamento climatico naturale potrebbero aggiungersi gli effetti delle compromissioni causate dai gas climalteranti.