È evidente a molti che una delle caratteristiche del Premier sia l’ostinazione; infatti, da buon toscano, non si fa intimidire da nulla o nessuno e tenta, sempre con grande ardimento, di procedere nel raggiungimento dell’obiettivo, che si è proposto.
Però, a volte, soprattutto per chi ha incarichi di governo, una tale virtù può trasformarsi, ben presto, in difetto, per cui, dalla tenacia e da un immotivato comportamento ostinato, possono derivare effetti molto sgradevoli.
In molte occasioni, in verità, la pervicacia renziana ha dato risultati accettabili: ad esempio, ha consentito al Presidente del Consiglio di giungere al varo della nuova legge elettorale ovvero all’approvazione del Jobs Act, nonostante le opposizioni di vasti strati del mondo sindacale e partitico.
Incassati, quindi, tali esiti, Renzi si sta comportando alla stessa maniera in materia di Pubblica Istruzione, per cui, nonostante lo sciopero dello scorso martedì, che ha visto una mobilitazione di mezzo milione di prof. ed operatori scolastici, insiste nel varare, entro il prossimo mese di giugno, il provvedimento che dovrebbe riformare la scuola in modo radicale, visto che introduce, tra le altre cose, nuovi criteri di selezione della classe docente.
Un minimo di prudenza e di saggia attenzione alle obiezioni, poste dai Sindacati, avrebbe imposto uno stop e, dunque, una pausa di riflessione, finalizzata a migliorare il testo originario in quel punto saliente, la chiamata diretta dei prof., che maggiormente inquieta gli insegnanti italiani e, finanche, una parte non irrilevante dei dirigenti, molti dei quali non si identificano affatto nella figura della dirigenza, che viene elaborata dal corso legislativo della stagione Renzi-Giannini.
Nei prossimi giorni, invece, quel provvedimento andrà in aula a Montecitorio per la prima approvazione e, poi, nel mese di giugno, dopo la celebrazione delle elezioni regionali del 31 maggio, passerà al Senato per essere approvato in via definitiva, così da poter creare, immediatamente, le conseguenze previste sin dall’avvio dell’anno scolastico 2015/16.
Ci sembra, questo, un atteggiamento poco prudente e scarsamente illuminato, visto che qualsiasi altro Premier, dopo un segnale molto forte, come quello fornito con lo sciopero del 5 maggio, avrebbe desistito dall’insano progetto di continuare il braccio di ferro con mezzo milione di docenti ed avrebbe ricercato la giusta via di compromesso, ammettendo di aver fatto una fuga in avanti improvvida e sbagliata, sia nei contenuti, che nella forma istituzionale.
Ma, sappiamo bene come il Premier ci tenga molto alla sua immagine e come intenda trasmettere al Paese una visione, talora, distorta del rapporto fra potere e cittadini: il buon politico è quello, infatti, secondo noi, pronto a fare retromarcia, quando si accorge di aver sbagliato, e non quello che, per fornire di sé una rappresentazione volutamente ridondante, con piglio decisionista sceglie – sempre e comunque – di non ascoltare la pubblica opinione e di legiferare contro i suoi stessi desiderata.
Ed, allora, la partita si trasferisce dal versante strettamente sindacale a quello, meramente, politico: le prossime elezioni regionali, sebbene si svolgano solo in sette regioni, saranno un importante test politico generale, volto a comprendere quanto consenso il buon Renzi vanta, ancora, nella società italiana ed, in particolare, fra gli elettori di un comparto, come quello della scuola, nel quale tradizionalmente il PD ha, sempre, raccolto una notevole messe di voti.
Parlando con professori ed operatori scolastici, si ricava che il livello di dissenso contro le politiche del Governo è, forse, maggiore addirittura di quello che già farebbe intendere la grande partecipazione di massa allo sciopero del 5 maggio, per cui si può, facilmente, ipotizzare che molti di quelli che, in quella data si sono astenuti dal lavoro, non voteranno per Renzi ed il PD in occasione della tornata regionale, esprimendo un orientamento che riflette gli umori di una vasta area della pubblica opinione nazionale, finora, molto delusa dai risultati dell’azione del Governo, anche in ambiti diversi da quello afferente alla scuola pubblica.
Cosa succederà?
I prof. voteranno per Grillo? Non andranno al voto? Decideranno di votare, finanche, per la Destra di Salvini, pur di non premiare il partito del Premier?
Non sappiamo, ancora, come un siffatto dissenso si esprimerà, ma invero possiamo immaginare, senza alcun timore di smentita, che il livello di gradimento delle politiche renziane, nella società italiana, non sia più quello dello scorso mese di maggio, quando – ormai dodici mesi fa – il PD raggiunse e superò la quota fatidica del 40% dei consensi in occasione delle elezioni europee della primavera del 2014.
I prossimi giorni saranno decisivi per comprendere gli orientamenti di quanti si sentono sempre più distanti dal Governo odierno, anche perché non può non sorprenderci una mobilitazione, così ampia e stratificata, come quella che il ddl sulla “Buona Scuola” è riuscito a determinare nel giro di poche settimane.
Forse, sulle politiche scolastiche, arriverà a cadere il Governo o, comunque, ad incrinarsi, in modo decisivo ed irreversibile, il rapporto fra Renzi e gli Italiani?