La parabola di Rafa Benitez meritava un epilogo migliore. Il sipario invece si sta chiudendo davanti ad una platea immalinconita, per il resto distratta ( dal toto allenatore) e chiaramente dal match di domenica sera.
Apprezzato produttore di tanti film, il grande Presidente ha fallito la prova più importante: l’ingaggio di un allenatore dalla mentalità europea, colui che secondo il management azzurro (?) doveva far decollare il progetto del produttore romano.
Rafa ha le sue colpe, ma non credo meritasse promesse mai mantenute e una campagna acquisti da far sbellicare dalle risate gli addetti ai lavori ei tifosi delle altre squadre ( le romane ad esempio).
Contro di lui, una parte della stampa cittadina ha usato a lungo il non detto e non l’accusa esplicita; il sospetto di essere un integralista e di non cambiare mai idea ha accompagnato la sua avventura nel club azzurro sin dall’inizio. C’è qualcosa di già visto in questi comportamenti. Metterlo al bando costringendolo a fare buon viso a cattiva sorte. Tutto questo mi ricorda, con le dovute proporzioni quello che in passato è successo con Ventura, Reja, Donadoni e per finire Mazzarri.
Cosi non poteva durare a lungo. Il finale di stagione è stato caratterizzato da una serie di partite da psicoanalisi, senza nessuna reazione vitale o degna di nota. A Torino contro la Juventus l’apoteosi della sciatteria. Per la prima volta, forse, anche i più ostinati e tenaci sostenitori del patron hanno perso le staffe. Certo, resistono i babbei delle magliette di Paestum, i fondamentalisti del DELA pensiero dei seguaci del “sempreafiancodellasocietà. Ma ormai lo scenario è chiaro ai più.
Anche il meno imparziale di loro, il più fazioso, il più rincoglionito non può non prendere atto che il famoso progetto è passato in modo perentorio alla fase “ridimensionamento totale”.
Qualcosa cambi perché tutto cambi, soprattutto le strategie di una società ( il Napoli) che non può più andare avanti con questa asfittica concezione da impresa a conduzione familiare. Un’impresa che di grande ha soltanto i compensi del consiglio di amministrazione ( il più remunerato d’Italia).
Il patron, uomo di cinema e quindi amante dello spettacolo, deve riscrivere interamente la sceneggiatura del film Napoli calcio.
Adesso aleggia anche un altro fantasma: la fuga dei primi attori. Che insieme a Benitez potessero partire anche tutti i giocatori che lo consideravano il garante della loro permanenza a Napoli era un fatto riconosciuto. Maa molti di loro, probabilmente sfugge che, cambiare casacca dopo una stagione come quella che ha vissuto il Napoli non è un affare per nessuno.
I numeri quest’anno sono impietosi: 23 punti in meno dei campioni d’Italia, 10 partite perse e 50 gol subiti; un campionato ricco di partite da decerebrati. Occasioni chirurgicamente buttate al vento quando le romane sentivano il peso della fatica e rallentavano. Mai un successo in rimonta, una squadra senza spina dorsale che grazie “all’estro e alla finanza creativa” di De Laurentis credeva di essersi rinforzata con le partenze di Pepe Reina, Dzemaili, Fernandez, Pandev e Bherami e gli arrivi di Koulibaly, De Guzman, Michue David Lopez con l’aggiunta di due portieri da stabile di periferia…
La colpa più grave che mi sento di addebitare allo spagnolo è proprio quella di non aver parlato chiaro e di non aver messo a nudo le inadempienze della società rispetto alle promesse palesemente disattese.
Sia chiaro:bisogna andare avanti. Nessun piagnisteo, nessun dramma. Solo chiarezza e fine delle bugie. In estate, l’anno scorso, in quel di Dimaro, il Presidente parlò di Napoli da scudetto. Orbene, due sono le alternative: o credeva di avere a che fare con una manica di imbecilli, o, era veramente convinto di quello che stava dicendo. Noi abbiamo sempre creduto solo e soltanto alla prima ipotesi.La sua tracotanzalo induce a fare questo tipo di ragionamenti. Nella conferenza stampa di ieri ha fatto un penoso e (dovuto) dietrofront, ma non basta.
D’altro canto, Aurelio De Laurentis il buon gusto di tacere non ce l’ha, e anzi parla e twitta che è una bellezza. Lo fa soprattutto quando le cose vanno bene, per eclissarsi quando le nuvole si addensano all’orizzonte. Ma nulla avviene per caso.Anche i silenzi hanno un loro perché.
Caro Presidente, i tifosi non sono interessati ai megacampionati europei( che non vedremo mai), alle sue amicizie con Tavecchio e alle sue alleanze strategiche ( a perdere) con Lotito. Non si appassionano nemmeno tanto alla querelle stadio con la giunta De Magistris, agli scaricabarile, ai suoi progetti faraonici, ai suoi compensi da primo della classe.
Quest’anno è emersa in modo incontrovertibile tutta la sua mancanza di capacità progettuale, una confusione teorica e pratica del ruolo che dovrebbe svolgere un presidente che ambisce a portare il suo club in un altro segmento. Un consiglio di amministrazione formato da sua moglie, suo figlio, sua figlia e il fido Chiavelli. Manco fosse una sala ricevimenti o un discount di provincia.
Addossare, attraverso i media compiacenti, le colpe ad altri, è diventato ormai un giochino vetusto e in disuso.Basta con lo “ sbatti il mostro in prima pagina” per nascondere le sue inadeguatezze, le sue debolezze e la sua totale assenza di visione prospettica e progettuale.
Adesso però vorremmo non essere più presi in giro da lei. La qualità, i progetti concreti, l’organizzazione razionale delle risorse e delle potenzialità non sono cose che si trovano all’ufficio oggetti smarriti.Le sue lezioncine confuse sull’unità d’Italia, sul governo Renzi, sulla modernità e sui progetti di internazionalizzazione le tenga per sé, i tifosi sono interessati ad altro.
E per domenica sera teniamo fuori tutte le incomprensioni e i malumori. Avanti Napoli!